Milano, 25 gennaio 2009
“Bologna è come un quadro di Morandi.
Per questo va difesa in tutti i modi
da questo nulla scarabocchiato sui muri”.
All’attenzione del Sindaco di Bologna Sergio Cofferati.
In copia alla Dirigente Regionale dei Beni Culturali Carla Di Francesco,
In copia al Direttore di Mambo Gianfranco Maraniello,
In copia a Giorgio Archetti, Assessore del Comune di S. Lazzaro,
In copia a Alessandro Ferri “Dado” e Stefania Cavicchi “Stefy”,
In copia a Daniela Corneo di Corriere Bologna,
In copia alla redazione de Il Resto del Carlino (che ha lanciato una campagna contro i graffiti), a Matteo Naccari e a Nicola Cappellini.
Ci rivolgiamo al Sindaco di Bologna, Sergio Cofferati. Perché dopo l’impegno preso nel 2007 – una chiara denuncia del fenomeno dei graffiti e la promessa di un pugno di ferro contro il fenomeno – l’Amministrazione (dopo la pulitura della zona universitaria e di via Andrea Costa) non si sta più muovendo per la rimozioni dei “segni di nulla” lasciati sui muri della città, partendo magari da via Galliera, con i suoi palazzi cinquecenteschi ricoperti di scritte? “Ricoloriamo insieme la città” sarebbe stata un’ottima iniziativa: perché non puntare su quella strada, facendo in modo di mettere a conoscenza i cittadini tutti del progetto?
Abbiamo seguìto attentamente e con interesse il dibattito scaturito dalle pagine dei giornali in queste ultime settimane. Pareri di Dado, Carla di Francesco, Gianfranco Maraniello ed Eugenio Riccomini si susseguono e rincorrono senza scovare una soluzione definitiva sull’argomento. Mi permetto di sintetizzare brevemente gli interventi.
Partiamo dall’analisi del writer Alessandro Ferri, che concentra l’attenzione solo in parte sulla legalità dell’atto, dando maggior importanza invece all’estetica dell’”opera”. “Ripulire i muri dalle schifezze va bene, ma attenti a non cancellare lavori che se non si vogliono definire arte, quanto meno rientrano nella categoria del buon artigianato”, dichiara Dado, andando a toccare l’accesa diatriba sul binomio arte-graffiti: stiamo parlando di muri autorizzati? O semplicemente, lasciamoli pure anche su muri non autorizzati perché “belli”? Non chiaro. “Certe tags e soprattutto le scritte e i simboli politici è giusto cancellarli, di contro sarebbe bello che anche Bologna cominciasse a riconoscere il valore di un movimento culturale, apprezzato all’estero, capace di contribuire a rendere più bella questa città”. Certo, ma di cosa stiamo parlando: di graffiti vandalici o di graffiti commissionati? Non chiaro. Per disincentivare il graffitismo vandalico, è necessario “valorizzare chi opera nella legalità”; e qui Dado colpisce nel segno. Ma siamo certi che il successo di writers “legali” possa aiutare a fermare il fenomeno vandalico? O forse proprio loro divengono il modello di riferimento numero uno? I graffiti di Dado sono richiesti all’estero e tra qualche mese uscirà una linea di borse con la sua firma. Dado, insieme all’amica Stefy, ha inoltre creato una carta da parati taggata. Siamo sicuri che tali operazioni disincentivino il graffitismo vandalico? Il ragazzino writer di 12 anni che la scorsa settimana ha imbrattato la scuola e la volante, confessando, ha dichiarato: “L’ho fatto per sentirmi importante”. Risposte di questo genere devono farci riflettere e sono utili
per capire come affrontare in modo mirato il problema. L’educazione in questo senso sarebbe una chiave: far passare l’idea che fare graffiti in giro non rende importanti, bensì “sfigati”, potrebbe essere un metodo.
Due i punti nevralgici dell’intervista a Gianfranco Maraniello, direttore di Mambo. L’anno passato Maraniello ospitò presso la propria galleria i writers della città (su proposta di Corriere Bologna), ma – ci tiene a dire – “non abbiamo sentito la necessità di fare una mostra come ha fatto Sgarbi a Milano”, perché “i graffiti non sono arte”. Questo il primo punto. Il secondo: a suo parere si tratta di un problema di educazione civica. “C’è la tendenza a pensare che lo spazio pubblico sia lo spazio di nessuno”. Parole sante. Egli propone corsi di educazione al paesaggio, da inserire nelle scuole. In tal senso, l’Associazione Nazionale Antigraffiti, in collaborazione con il Comune di Milano, ha in programma l’idea di far partire nelle scuole – prima di Milano, in un secondo momento il progetto, se efficace, potrebbe estendersi – un corso che abbia proprio il fine di educare al decoro urbano, al rispetto verso il paesaggio e il patrimonio culturale ed artistico. Sarebbe certamente interessante unire il lavoro di molti, di più città italiane per creare dei corsi basati sulla stessa metodologia o dei video appositi che circolino nelle scuole.
La soluzione del Direttore Regionale dei Beni e dell’Attività Culturali dell’Emilia RomagnaCarla Di Francesco è quella di ripulire i muri appena vi si trova un nuovo graffito, in modo da disincentivare il graffitismo vandalico e da evitare l’effetto emulazione. Starebbe quindi ai privati ripulire i muri della città, con simbolici incentivi. Altra idea: notti bianche per educare al colore e alla continuità di tono della città. Le chiediamo allora, che fine ha la performance di Ivan il writer? Non è dando spazio ai writers che si combatte il fenomeno. Perché uno spazio dato dal Comune, per qualsivoglia occasione non disincentiva il graffitismo vandalico. Il writer cerca l’adrenalina nell’illegalità, non certo la legalità in un gesto di per sé illegittimo.
Lo storico dell’arte Eugenio Riccomini – intervistato dalla giornalista Daniela Corneo – è intervenuto sull’argomento con motivato interesse e volontà di abbattere il fenomeno. Una Commissione per la qualità architettonica veramente non ha senso di esistere? E davvero sta tutto all’educazione che i genitori trasmettono ai propri figli? O all’eventuale ora di educazione civica a scuola? La situazione di “diseducazione diffusa” è reale – vedi i vandalismi compiuti dagli alunni del Volta il 20 di questo mese -, certamente, ma credo che la commissione di cui fa parte Riccomini possa sommarsi all’educazione domestica. L’una non esclude l’altra. Ben vengano iniziative di questo genere, contro i “segni di nulla, frutto dell’unica ideologia dominante oggi, l’idolatria del nulla: non ci sono idee e ideali. E’ comprensibile che un giovane voglia deturpare una continuità di tono (che è la caratteristica principale di Bologna) in nome dell’odio per la bellezza”.
Pupi Avatigirò il suo film Il papà di Giovanna a Bologna – la sua città – e ogni giorno toccava loro ripulire i muri per le riprese. Sono così tanti i graffiti a Bologna che addirittura un giornalista del Resto del Carlino ha scritto che “i graffiti sono diventati una cicatrice sulla faccia di Bologna, una malattia cronica segnalata anche dalle guide turistiche internazionali – vedi ad esempio l’inglese Wallpaper – come se al pari delle Due Torri fossero qualcosa da non perdere, da fotografare, da ricordare”. Significativo.
E poi il j’accuse di Andrea Forlani, in riferimento alla palazzina mai pronta dei Giardini Margherita. I lavori di ristrutturazione erano stati avviati, ma ora interrotti. Prima di essere pronta, è già totalmente imbrattata. Prima si riprendono i lavori, prima si toglierà dalle mani dei vandali. Certo il degrado è anche questo: il ritardo nelle ristrutturazioni, che col tempo danno il senso di abbandono; senso che dà affetto di degrado. E come sappiamo, il degrado porta degrado, tra cui l’imbrattamento.
Tre voci – Maraniello, Riccomini, Di Francesco – rivelano allo stesso modo il loro pessimismo nel trovare una soluzione al problema; soluzione che tutti e tre ritrovano in modo definitivo nell’educazione civica. Certamente una delle soluzioni, ma da congiungere e coniugare ad altro. Non solo: due le strade, da percorrere parallelamente. Risolvere dalla radice (prevenire) e rimediare a danno già effettuato (curare).
PREVENIRE:
1. Far rispettare la legge. Finché il graffitaro di turno “la passa liscia” una, due, tre… volte, a quel punto si sente in potere di fare tutto ciò che vuole. L’impunito è il male della nostra società. La risposta più frequente? “Come li troviamo?”. Un lettore di Corriere Bologna: “I graffiti sono firme: l’autore si trova”; e proponeva di far ripulire al writer vandalico la parte imbrattata, moltiplicata per 10. Potrebbe essere un’idea. I paesi anglosassoni hanno introdotto per primi la nobile soluzione di far pulire al graffitaro stesso. Le telecamere? Gettonate da qualsiasi amministrazione, ma in concreto, quanto sono servite lì dove sono state installate? In particolare quando lo spirito è: “previsti interventi solo per scritte oltraggiose, blasfeme o politicamente offensive, negli altri casi la riverniciatura è a carico dei proprietari” (Mancuso), che è lo stesso ragionamento di chi vuole conservare graffiti illegittimi perché “belli”.
2. L’educazione, come dicevamo sopra. Una sinergia tra educazione tra le mura di casa (per evitare quel solito “mio figlio non centra nulla”), a scuola, educazione civica e ambientale, sommate alla sensibilizzazione data da parte di realtà locali (comitati di quartiere, associazioni…). Il Comune dovrebbe giocare qui il ruolo fondamentale di collante.
CURARE:
1. Ripulire i muri appena appaiono nuovi graffiti, che siano singoli cittadini a farlo, o gruppi di persone, comitati, associazioni o il Comune. L’Associazione Nazionale Antigraffiti in tal senso ha ripulito un quartiere (muri e saracinesche) di Milano. L’esperimento funziona: la zona appare meno degradata, di conseguenza la presenza di writers è quasi totalmente annullata. E’ un po’ quello che propone Riccomini: la creazione di cooperative di cittadini che con cadenza fissa ripuliscano i muri della propria zona.
2. Multare effettivamente chi viene colto in flagrante, perché il problema di sempre è trovare i soldi per la pulitura.
Mi piace pensare alla frase di un accanito lettore di giornali che un giorno sì, uno no interviene su una qualche testata: perché dar colore? Il mio cappotto grigio mi piace così com’è. E Dado: “Sfido i bolognesi a preferire il grigiore al colore steso bene” e legalmente, aggiungerei.
Andrea Amato
Segretario dell’Associazione Nazionale Antigraffiti
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