Indicazione monca: «Mon…». Il «za» è scomparso sotto la vernice. Indicazione confusa: la scritta Pavia è attraversata da sgorbi vari. Indicazione cancellata: a perdere un po’ di tempo, si riesce a capire che forse là sotto si parla della statale del Sempione; ma anche a voler completare l’esercizio interpretativo, non si saprà comunque che direzione prendere. La freccia è del tutto scomparsa. Quei pali che sorreggono le indicazioni in zona corso Indipendenza sono l’emblema dell’onda aggressiva dei graffiti che investe senza sosta la segnaletica stradale milanese. Secondo alcune stime fatte da addetti ai lavori (non esiste un calcolo
scientifico sull’argomento) in città almeno un cartello su quattro è in qualche modo vandalizzato. E se per alcuni segnali, ad esempio un divieto d’accesso, una tag (firma) fatta con una bomboletta non pregiudica la funzionalità, in molte altre situazioni lo scempio può creare inconvenienti più seri. Da una multa (se per esempio non si capisce chi può passare e chi no su una corsia preferenziale), a un rischio per la sicurezza stradale.
Negli ultimi mesi il Comune ha avviato un programma di sostituzione della segnaletica. In alcuni quartieri, soprattutto quelli del centro, i cartelli puliti stanno rimpiazzando quelli imbrattati.
Nelle ultime settimane, l’azione dei writer contro le indicazioni stradali è stata oggetto di una nuova interpretazione della Cassazione. La Corte d’appello di Genova aveva condannato un writer a 6 mesi di carcere, sostituiti poi da 6 mila euro di multa, perché «la vernice aveva reso inutilizzabili i cartelli tanto da
determinarne la sostituzione». La Suprema Corte ha però «declassato» il reato a un illecito amministrativo.
Per questo Fabiola Minoletti, dell’Associazione nazionale antigraffiti, ha messo a punto un report che dimostra come sia impossibile fare una distinzione: a Milano (come altrove) gli stessi graffitari lasciano le loro tag sia su divieti d’accesso e indicazioni geografiche, sia su muri, saracinesche, treni, furgoni parcheggiati. «Abbiamo dimostrato – spiega la Minoletti – che i writer colpiscono indistintamente e per questo l’imbrattamento di un cartello stradale non può essere “declassato”, resta un reato». Un reato con una serie di conseguenze: «Degrado urbano, a volte pericolo per i guidatori e i ciclisti. Senza dimenticare che la sostituzione dei segnali ha un costo per il Comune».
Nel report c’è una foto del cartello all’ingresso della piccola corsia preferenziale in San Babila che indica l’obbligo di svolta (quindi divieto di accesso) eccetto per… Motorini? Taxi? tutto indecifrabile. E ancora: un’indicazione di un parcheggio riservato a… non si capisce se moto, biciclette o chissà cosa. Anche l’Automobil club, dopo la sentenza della Cassazione dell’inizio di giugno, aveva parlato del «rischio di disagi e pericoli per gli automobilisti». Nella zona di viale Abruzzi c’è anche un piccolo cartello che indica la fermata del Radiobus: completamente oscurato. Anche se quello non serve più, visto che il servizio è stato tagliato.
Articolo apparso sul Corriere della Sera il 15 luglio 2013 a firma di Gianni Santucci e Armando Stella
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