MOVIMENTI
Dopo aver colorato muri in Europa e Usa la Street artist romana Alice Pasquini è sbarcata in Asia con una missione:
diffondere la bellezza. Anche a costo di essere denunciata
Se ora lo scrivo si incazza, ma a me Alice ricorda Amelie Poulain, la protagonista del film di Jeunet che cerca di donare allo sguardo degli altri la bellezza e la grazia che qualche ingiustizia le ha rubato. L’artista romana gira il mondo armata di pennelli e stencil per lasciare sui muri ritratti di donne e ragazze, bambini che giocano e immagini che richiamano alla mente i momenti migliori di una persona. Li incontri e ti senti meglio. I supporti che sceglie per dipingere sono muri devastati da tag stratificate, come volesse dare un background urbano reale ai suoi personaggi. Come se la tela giusta per lei fosse la città con le sue cicatrici. Eppure la polizia di Bologna l’ha denunciata per aver “imbrattato” i muri. Ma il suo è anche un gesto per rendere migliore quel degrado, benché per breve tempo. Le chiedo se è così. «Si sono d’accordo, ma la scelta della mia “tela urbana” non avviene sulla base di un solo criterio, di una sola superficie. Chiedo al fioraio se mi lascia fare un intervento su quei pochi centimetri quadrati del suo chiosco che mi piace da matti, oppure trovo un pezzo di legno storto o un ferro vecchio magnifico e me lo porto a casa. In Vietnam ho dipinto sul muro dell’hotel dove dormivo e ancora ricevo email di ringraziamento». Già, sei appena tornata dal sudest asiatico. Dopo aver dipinto opere sui muri in Italia, Spagna, Francia, Inghilterra, Norvegia, Svezia, Danimarca, Olanda, Germania, Russia, Marocco, Australia e Usa com’è nata l’occasione di dipingere là? «L’istituto italiano di cultura mi ha chiesto di tenere un workshop agli studenti d’arte dell’università La Salle di Singapore. Mi sono domandata come affrontare l’argomento dell’arte pubblica in un Paese che conosco poco, ma poi il contatto con gli studenti, il loro entusiasmo e desiderio di libertà mi ha insegnato che la distanza geografica e culturale in arte conta poco. Da qui l’idea dì andare anche in Indonesia e in Vietnam alla ricerca dell’arte urbana, degli artisti locali, spinta dal desiderio di dipingere in luoghi diversi. Sono stata tra Singapore, Yogyakarta e Ho Chi Minh con la fotografa Jessica Stewart (romephotoblog) e ne è nato un reportage fotografico». Si può essere fustigati sul posto se presi a dipingere m u r i urb a n i a Singapore… «I miei mi hanno messo addosso la paranoia: “mettiti il velo sulla testa, non dare confidenza, attenta a cosa mangi (e fumi)”. Per il resto abbiamo contattato prima le crew di graffitisti locali e associazioni di artisti per avere infor. mazioni rispetto alle leggi dei diversi Paesi, per cercare aree autorizzate e per capire dove trovare gli spray. Tutto è andato molto meglio del previsto. A Singapore è stata l’Università stessa che mi ha dato un muro molto grande e ovunque ho trovato accoglienza ed entusiasmo».
Chi ti è rimasto nel cuore? «Gli studenti, per l’entusiasmo e la passione per l’arte. Alcuni non avevano mai preso uno spray in mano e hanno realizzato disegni incredibili. La direttrice dell’istituto italiano di cultura e la sua famiglia che ci hanno fatto sentire a casa. Tutte le crew e gli artisti: Rscls a Singapore, Ève Crew e Tuyuloveme a Yogyakarta, e Saigon Graffiti Club in Vietnam per i muri dipinti assieme, gli spot segreti, i matti viaggi in motorino nel traffico, e per avermi ricordato che per realizzare una bella idea se hai molti amici i soldi non servono». E le ragazze che ho visto fare stencil col velo i n testa? «Vengono dalla Malesia, sono il mio duo preferito. Piene di energia e sempre sorridenti, coi veli coordinati e stilosissimi. Non vedevano l’ora di provare a spruzzare, dopo giorni passati a ritagliare stencil. Poi non si sono più fermate e mi hanno sorpreso per le capacità di spruzzare in maniera pulita e di capire da sole come utilizzare solo alcune parti o ripeterne altre cambiando colori e sfumando. Adesso seguo i loro nuovi lavori su Instagram». Che ne pensi della disputa su cosa sia Street art e cosa non lo sia? C’è chi la considera tale solo se illegale… «Muri autorizzati o muri clandestini? È un dibattito che non mi appassiona. Siamo in tanti a considerarci animalisti ma non rinunciamo a dare al gatto la scatoletta che contiene il corpo di altri animali uccisi. Siamo tutti contro i ripetitori sul tetto di casa nostra, ma continuiamo a usare il cellulare. Mi chiedo: quanti Street artist rinuncerebbero a farsi un muro della casa di Chuck D dei Public Enemy se lui ci autorizzasse? lo no, sono ambientalista, animalista e Street artist, ma non ci rinuncerei. Anzi, se ti capita, diglielo».
Articolo di David Vecchiato – fotografie di Jessica Stewart apparso su XL di La Repubblica del 5 dicembre 2013
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