IL DITO NELLA PIAGA
Genova – La mail arriva da Arturo Gatti, vecchio amico che da Genova si è trasferito ormai da qualche anno nel Veneto per lavoro. E, come tutti i genovesi, che finché abitano nella loro città non lesinano le critiche, ma poi vengono assaliti da una struggente nostalgia quando se ne allontanano, Gatti è attirato dalla televisione come una calamita appena sente pronunciare il nome di Genova. «Ho visto pochi giorni fa – mi racconta un bel servizio su Raidue: si parlava della nostra Zena, si offrivano splendidi scorci, si raccontava di via del Campo e di De Andrè e, a parte qualche banalità, si promuoveva davvero l’interesse dei turisti». Ma un dettaglio, scrive l’amico, stride in maniera quasi insopportabile: «Non c’era un solo muro dei palazzi, tra quelli ripresi, che non fosse deturpato da una scritta, uno scarabocchio, uno sgorbio di vernice. Ogni inquadratura era irrimediabilmente rovinata. E nemmeno di trattava di disegni con qualche pretesa artistica: solo scritte e pasticci con lo spray, anche sugli edifici più nobili». Abbiamo sollevato mille volte il problema del decoro, dei graffiti sui muri, dell’inciviltà degli imbecilli che si divertono a insozzare, o che pensano sia davvero rivoluzionario tracciare slogan con la vernice. C’è anche chi può obiettare che, in un periodo di vacche magre, non sia questo tra i primi problemi da affrontare. Ma il fatto che un servizio televisivo, realizzato per promuovere la città, faccia emergere in prima battuta allo spettatore questa problematica, significa che forse vale davvero la pena riprenderla in considerazione.
Articolo di MARCO MENDUNI apparso su Il Secolo XIX del 18 dicembre 2013
Commenti recenti