La rubrica Italia sì, Italia no di Aldo Cazzullo cita l’Associazione Nazionale Antigraffiti in chiusura d’articolo. Ovviamente ne siamo onorati, e ringraziamo il giornalista di questo riconoscimento, ma credo che sia opportuno precisare che non servano critici d’arte o grandi intellettuali per capire che le scritte vandaliche, che offendono il nostro patrimonio, devono essere cancellate. D’altronde l’associazione non ha mai rimosso murales e alcuna manifestazione artistica di strada ma solo imbrattamenti e tag.
Buona lettura.
Andrea Amato
Va regolata, non demonizzata perché ci consente di mantenere un alto tenore di vita, anche ora che il lavoro tradizionale vale meno Colpisce vedere sinistra e destra unite contro la finanza, considerata il male dell’umanità. Forse è il caso di ricordare alcune verità abbastanza ovvie, ma estremamente impopolari.
Purtroppo la verità è spesso antipatica, e sempre testarda. Il lavoro fungibile, quello che può fare chiunque, non vale più quasi nulla, n mondo globale fa sì che venga esportato nei Paesi dove costa meno o molto meno (e c’è meno burocrazia), o importato e affidato a immigrati più disposti di noi a sacrificarsi. (La disoccupazione è tornata ai livelli del 1977: allora però immigrati non ce n’erano; infermieri, operai, colf, badanti, baby-sitter, camerieri, braccianti erano tutti italiani; e presto avremo immigrati anche negli studi dei medici, dei dentisti, degli avvocati, proprio perché hanno più “fame”). Le macchine intelligenti rendono spesso l’uomo superfluo: non solo al posto del contabile c’è 0 computer e dell’operaio c’è il robot, ma anche le agenzie di viaggio o gli sportelli bancari sono sempre più spesso sostituiti da Internet. (D lavoro si trova ancora là dove serve un sapere, una tecnica, un’esperienza: ingegneri, artigiani specializzati, specialisti nei mestieri d’arte; tutte cose che costano studio, perizia, fatica). Non potendo aumentare i salari per lavori che valgono meno di un tempo, per mantenere gli stessi livelli di consumo si sono moltiplicati i debiti. Di qui la bolla, e la crisi. Purtroppo il meccanismo che ha causato il crollo del 2008 è ancora lì, intatto, nonostante i timidi tentativi di Obama e delle istituzioni internazionali di introdurre nuove regole e nuove garanzie. È un meccanismo talora infernale, quando porta a ingiustizie odiose, tipo i manager che si assegnano bonus da milioni di euro dopo aver rovinato la loro azienda. Abusi su cui bisogna intervenire. Ma la finanza, in sé, non è il diavolo. È una cosa a volte spietata, spesso antipatica, che però consente all’Occidente impigrito e sfiduciato di continuare a consumare a ritmi che i nostri padri non potevano neppure immaginare e che i nostri contemporanei dei Paesi meno ricchi non possono neppure sognare. Che gli artefici di tutto questo trattengano per sé una parte della ricchezza così creata, è un’altra cosa antipatica ma abbastanza naturale. Cerchiamo piuttosto di porre un limite agli eccessi, di pagare il merito e non lo status, di restituire dignità al lavoro tassandolo di meno (e tassando di più le rendite), di abolire i paradisi fiscali: ne abbiamo due ai nostri confini, Montecarlo e la Svizzera. Ma non demonizziamo la contemporaneità: possiamo migliorarla, non averne un’altra. Tra le occasioni che l’Italia continua a perdere, c’è senz’altro la mancata valorizzazione della cultura popolare napoletana. A Napoli ci dovrebbero essere teatri che mettano in scena solo Eduardo, cinema che trasmettano solo film di Totò, locali dove ogni sera si possa ascoltare la grande musica napoletana. Se non altro, al teatro Trianon è stata organizzata una mostra interessante. Si chiama “L’impresa di Partenope”, è dedicata appunto alla canzone napoletana. Attraverso 150 anni di produzione, racconta le tappe di uno dei segmenti più significativi della nostra industria culturale. Partendo dai fogli volanti stampati nella prima metà dell’800 per arrivare fino ai cd-remix degli Almamegretta del 1996, l’esposizione evoca la fortuna della canzone napoletana nel mondo. L’ha organizzata la Fondazione Bideri, nata dalla storica casa editrice, che ora ha pubblicato due volumi dal titolo Napoli jazz sound i classici arrangiati in chiave jazz. La musica napoletana è una fucina che non si ferma mai. ‘”
Se la Scala appariva bella ripulita la sera della prima, il merito è anche dall’associazione nazionale Antigraffiti: volontari che ripuliscono gli edifici (da ultima la scuola Pascoli di via Rasori, sempre a Milano). Forse servirebbe però un bravo critico d’arte per distinguere quelli da cancellare (la grande maggioranza, cominciando con le scritte offensive) da quelli che andrebbero salvati…
Articolo di Aldo Cazzullo apparso su Sette del 4 gennaio 2014
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