Un volume in inglese testimonia le esperienze in città
BOLOGNA – Dopo 30 anni dalla mostra Arte di Frontiera, New York Graffiti, realizzata alla Galleria d’Arte Moderna su progetto di Francesca Alinovi, Bologna si ricolloca al centro di una ricerca e di una critica sul movimento artistico avanguardistico del Graffiti Writing o Writing e poi della Street Art. Lo fa con il libro The Frontier-The Line of Style (Frontier-La linea dello stile) che testimonia e ferma nel tempo il primo capitolo della piattaforma in evoluzione Frontier, terminato nel febbraio 2013, curato da Claudio Musso e Fabiola Naldi e basato sulla realizzazione di tredici opere murali di dimensione monumentale in giro per la nostra città e su un approfondimento teorico e critico delle due discipline. Il volume, pubblicato da Damiani in inglese con i testi tradotti in italiano a chiusura, è stato pensato con un’apertura internazionale. Per la nostra città, invece, tutto il discorso è già richiamo turistico. Musso e Naldi potrebbero volare a New York per divulgare dal vivo i loro studi? Chissà. Nel frattempo, il 13 febbraio i due critici e curatori indipendenti saranno al MAMbo per approfondire la questione con Alberto Ronchi, Massimo Mezzetti e Gianfranco Maraniello. Musso, il volume è un documento importante per la ricerca dedicata a questo mondo che nella nostra città ha radici profonde. Ma sul piano di una ricerca internazionale cosa aggiunge? «Il libro ha una particolarità, ovvero quella di colmare una mancanza, affrontare il tema secondo i cultural studies, quindi non solo in ambito artistico e antropologico.Mette insieme le tre discipline. E sul mercato editoriale introduce il punto di vista accademico, perché in effetti non ci sono studi di questo tipo. Abbiamo portato la considerazione delle urban arts tra cui ci sono writing e street art». Ci sono voluti tre decenni per riportare Bologna al centro del discorso… «Nel tempo ci sono state altre pubblicazioni, ma i riferimenti erano sempre locali, i libri erano cataloghi di foto senza approfondimenti teorici. Le cose sono sempre successe, anche negli anni Novanta, ma ad esempio, i manuali di storia dell’arte fermano tutto in un capitolo sul graffitismo che è relativo agli Ottanta. Il lavoro necessario a livello storico-critico è recuperare questo vuoto. La missione di Frontier è stata questa, legare gli anni ’70/’80 e poi ’90 all’esplosione degli anni 2000». Il progetto Frontier secondo voi può essere un richiamo per il turismo? «Ci sono dei segnali che lo dimostrano. I percorsi di Frontier sono stati al centro del Tekking Urbano, sappiamo che il comune vuole inserirli in Bologna Welcome. Nel frattempo Sky Arte ci ha dedicato una puntata del programma Street Art».
Articolo di BENEDETTA CUCCI apparso il 15 gennaio 2014 su Il Resto del Carlino
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