Editoriale di Antonio Lubrano apparso nella rubrica “Dalla parte vostra” del Corriere della Sera 23 gennaio 2014
Dunque, i presunti o reali esponenti della street art farebbero il doppio gioco: di giorno creano «capolavori» sui muri della città e di notte sporcano gli stessi muri con la loro firma (tag ). A sospettarlo è la polizia (Corriere del 19 gennaio). Però i graffitari di Milano si sentono perseguitati. Dal Comune e dalla Procura: «Vittime di una repressione senza precedenti» . Scotta ancora la condanna per associazione a delinquere inflitta a due di loro. Cosa vorrebbero i nostri eroi dello sgorbio? Che si distinguesse fra street artist e imbrattamuri. Ma non sono la stessa cosa? Qui qualcuno ci prende per i fondelli. E tuttavia l’Associazione nazionale antigraffitari si dice disposta a dialogare con gli «artisti». Chi, quelli del doppio gioco? Un solo esempio. Sulla facciata di un palazzo di viale Coni Zugna una scritta inneggia al Binario 21 e aggiunge: «Fascismo: democrazia». Il solo riferimento al capolinea dei treni destinati ai campi di sterminio nazisti autorizza a pensare che tra i graffitari si nascondano fior di canaglie e di ignoranti. Intanto le facciate dei palazzi restano sporche. Il Comune non ha soldi per ripulirle. Ci vogliono cinque-sei milioni di euro. E adesso, per colmo, il nuovo regolamento edilizio prevede l’obbligo per chi ci abita di tenere pulito il «volto» dello stabile. Con tanto di sanzione per i trasgressori. E noi, i condomini multati, dovremmo pure distinguere tra writer buoni e cattivi?
Donato Paolucci
1 maggio 2014 at 22:55
Il confine è labile e ve ne racconto una: qualche anno fa sono stati chiamati Writers da tutta Italia per rendere meno grigi i muri che circondano la stazione degli autobus di Campobasso. Uno di loro ha intimato ai suoi collaboratori di star fermi nella notte, in quanto gli spazi a cui tanto agognavano gli erano stati concessi. Udito con le mie orecchie. E in Via D’Amato un palazzo è stato totalmente devastato da studenti del Liceo Artistico, che sorge lì di fronte. Basta con il perbenismo e con la logica di Don Abbondio!
Andrea
2 maggio 2014 at 00:51
Grazie per la sua testimonianza. Il confine è labile solo se lo vogliamo rendere tale. I furbetti della bomboletta, se iniziassero a pagare per i danni che procurano alla collettività, smetterebbero di lagnarsi per gli spazi che reclamano. Un’artista non violenta una città con il colore solo perchè non gli danno uno spazio. I segni lasciati in giro fanno crescere d’importanza il suo segno nel gruppo. Più devasti, più sei rispettato. La vera assurdità è quella degli amminsitratori pubblici che concedono spazi ai writer senza prima capire chi sono veramente: più spazi ai veri artisti, più lavori socialmente utili ai vandali dello spray. Sono quindi d’accordo con lei: con la logica di Don Abbondio si potrà mai ridimensionare il problema degli imbrattamenti.
Elisabetta Sciscenti
1 maggio 2014 at 22:58
Spettabile Associazione, vorrei sapere se forze dell’ordine, associazioni come la vostra e studiosi del fenomeno si siano mai posti il problema di tracciare un identikit socio-psicologico del vandalo: età, estrazione sociale, stili di vita. A mio parere è utile per poterlo scovare. Che ne pensate?
Andrea
2 maggio 2014 at 00:43
La nostra Associazione, oltre a promuovere e organizzare iniziative di ripulitura, studia prima di tutto il fenomeno sotto le sue sfaccettature sociali e psocologiche. E’ solo attraverso l’analisi degli imbrattamenti e dei relativi autori che si possono comprendere le motivazioni che spingono a commettere tali azioni vandaliche. Dalla prima inchiesta nazionale sul fenomeno del graffitismo (2007), condotta su tutto il territorio nazionale, allo studio dei singoli casi (dal 2008 fino a oggi) presenti in una realtà più ristretta (principalmente Milano), si sono raccolte molte informazioni che vorremo organizzare in un lavoro più strutturato. Delle tante dichiarazioni apparse sui giornali ed espresse da diversi amministrazioni e intellettuali, ci sentiamo fermamente di dissentire. Al momento l’unico testo di riferimento per lo studio del fenomeno, sotto il profilo sociologico, è il libro “Dal graffito artistico al graffito vandalico” di Roberto Pani. Il vero problema in Italia, per combattere il vandalismo, è accettare che questa forma d’espressione non sia prettamente artistica ma prevalentemente vandalica. Il dilemma che blocca la reazione delle gente è la questione se siamo in presenza di un’opera d’arte o di un atto vandalico. Con questo approccio non si affronterà mai seriamente il problema, perchè è un parere estetico a determinare la legittimità dell’esistenza di un segno. In realtà, cambiando il punto di vista, è l’autorizzazione da parte del proprietario del supporto a determinare la natura legale del segno. Così semplice quest’ultima distinzione che sembra non voglia essere presa mai in considerazione in Italia. Ed è per questo che le pene non vengono comminate e la legge non viene sostanzialmente applicata. Si sottovaluta un fenomeno che solo da noi costa ogni anno, alle casse delle amministrazioni e dei privati, centinaia di milioni di euro.
Mauro
3 maggio 2014 at 22:28
Non mi è ancora chiara la questione: in Italia c’è o non c’è una legge che punisca questa gente, sia a livello pecuniario, sia con la detenzione, sia con i lavori socialmente utili? Altrimenti qual è il discrimine fra noi e i Paesi che non sono devastati da questo fenomeno? Se non l’abbiamo, qual è il vantaggio per uno Stato, una Regione, un Comune nello spendere centinaia di migliaia di euro per la ripulitura anziché avere un forte deterrente legislativo?
Andrea
4 maggio 2014 at 06:42
In Italia la legge esiste. Non viene sempre applicata: art.639 codice penale.
Annamaria Palmieri
4 maggio 2014 at 21:27
Sì, ma è una beffa. E ci si permette anche di criticare quel magistrato che ha equiparato il reato a quello di associazione a delinquere? Ma che Paese stiamo diventando? E poi perché non dare maggiori poteri ai sindaci?