BERGAMO – Chi ha imbrattato con i graffiti la fontana di piazza Dante, il 25 aprile, è gente senza arte né parte. Una società seria e civile dovrebbe imporre il sostenimento dei costi di ripristino.
Un lettore
La distanza tra i lanzichenecchi spruzzatori e l’arte è ampia quanto quella tra uno stupro e l’amore. In effetti l’arte non sanno cosa sia né aspirano ad alcun percorso di avvicinamento ad essa. Sporcano facciate, panchine, monumenti, segnali stradali, portoni non per dare forma, per quanto primitiva e caotica, ad alcun sentimento decente, ma solo per sfidare le istituzioni, per sfregiare la società (e la famiglia) che li ha cresciuti bene ed educati male, per infrangere le regole. Tutto ciò che sa di norma e ordine, di rispetto della convivenza, della proprietà altrui e del bene comune per loro è detestabile quanto una divisa, che quelle norme e quell’ordine è chiamata a tutelare. Perciò sul delicato marmo di Zandobbio della fontana di piazza Dante hanno scritto (ovviamente senza farsi vedere, perché il coraggio nel branco non ha dimora) «Acab», acronimo britannico che sta per «gli sbirri sono tutti bastardi», e poi «partigiani siempre», «fascisti, eroina, polizia, uno per uno vi spazzeremo via», e a seguire tutto l’armamentario di simboli e saette dell’antagonismo sociale. Chi è stato? Gli indizi, consistenti, portano a un centinaio di ragazzi che nel pomeriggio del 25 aprile, dopo una manifestazione davanti alla Prefettura, hanno fatto pic nic e rap all’ombra di striscioni come Malpensata antifa e No Tav. Se si potesse applicare anche a questi casi il principio grossolano della responsabilità oggettiva che vige nel mondo del calcio, sarebbe facile recapitare la fattura per la cancellazione di quelle oscenità a chi di dovere. Purtroppo o per fortuna non è così: occorre individuarli con nome e cognome. Quindi, caro lettore, toccherà a noi cittadini saldare tutto. «Sono atti vandalici, alla fine paga Pantalone», conferma l’assessore ai Lavori pubblici. E non sarà una spesa da poco, così come non è da poco il problema del graffitismo selvaggio nelle sue molteplici manifestazioni. Alcuni politici pensano che non sia una questione prioritaria, ma considerarla marginale è un errore grave, perché non sono in ballo solo i costi evidenti per smacchiatura e ritinteggiatura, ma anche quelli più pesanti relativi al deterioramento progressivo dell’immagine turistica della città e al degrado sociale che lentamente subentra laddove non si contrasta con forza questo perverso e inarrestabile fenomeno. Chi il fenomeno lo studia da tempo raccomanda perciò la rapidità dell’intervento di restauro. D’accordo, è un esercizio estenuante e quasi folle quello di correre immediatamente a rimediare agli attacchi sporcaccioni che gli incivili con la bomboletta possono portare ovunque, in centro o nelle periferie, a strutture di pregio o ad aree fatiscenti, eppure sembra proprio, lo dicono statistiche ed esperienza, che replicare colpo su colpo abbia un effetto deterrente. Inoltre, non applicare questo metodo comporta un rischio di assuefazione generale al degrado, un abbrutimento collettivo. Naturalmente, penso siamo tutti d’accordo, la misura principale di contrasto dovrebbe consistere in una serie di esemplari interventi mirati sui responsabili. Come dicevano i cattivi maestri di molti di loro, puniscine uno per educarne cento. Ora, educare certi personaggi è impresa impossibile, ma si deve pur cominciare. Per spazzarli via, tanto per usare il loro linguaggio, mandiamoli a spazzare.
Risposta di Pino Belleri a una lettera di un lettore, apparsa sul Corriere della Sera del 4 maggio 2014.
Luciano
4 maggio 2014 at 22:51
Sull’efficacia dell’effetto deterrente prodotto dalla cancellazione rapida degli scarabocchi, ci sono ormai molte conferme. Qui a Milano, posso portare ad esempio, abitando in zona e attraversandola quotidianamente, la situazione dei tunnel che attraversano lo spazio della stazione centrale. Ad eccezione dell’ultimo, sono stati recentemente restaurati, tinteggiati e riportati a condizioni di decoro anche per chi li attraversa a piedi, e un’associazione di cittadini denominata “4 Tunnel” li tiene costantemente monitorati, anche con l’aiuto di segnalazioni tempestive sulle rarissime, ormai, repliche delle scritte vandaliche. Quando viene avvistata una scritta spray, sparisce nel giro di 48 ore grazie all’immediato intervento di volontari dell’associazione che, dotati sempre di un kit di pronto intervento con vernice originale, in pochi minuti ricoprono ogni traccia; i risultati dicono che anche dal punto di vista psicologico la deterrenza è valida, perché oltre alla constatazione della breve durata delle loro tags, i writers avvertono la situazione di controllo della zona, si sentono spiati e perdono sicurezza, quindi tendono a diradare progressivamente i tentativi di violazione fino a disperdersi totalmente. Nella foto di cui alla pagina http://www.4tunnel.it/public/20140302_150855.jpg, la festa di inaugurazione del tunnel Parravicini, che a distanza di oltre 2 mesi dalla riapertura, rimane nelle condizioni di decoro e luminosità visibili in origine.
Quindi, è evidente che pulire serve, mantenere il pulito serve ancora di più!
Mara
11 maggio 2014 at 21:46
A Campobasso stiamo tentando di attuare questo processo, ma non è facile, tra l’indifferenza delle istituzioni, la sottovalutazione del problema da parte dei cittadini, la loro scarsa capacità di fare squadra. Ma alcuni muri li stiamo abbattendo. Per esempio, un movimento politico ha inserito la lotta al vandalismo urbano nel suo programma di governo per le prossime elezioni comunali. Per noi probabilmente il processo sarà più lungo, ma ce la faremo. Mai demordere!
Andrea
11 maggio 2014 at 23:53
Non siete e non sarete soli. Tutti noi abbiamo iniziato così, pochi ma con tanta voglia di reagire. Anche se le delusioni non mancano, sopratutto dalle istituzioni, la migliore riserva di energia la prendiamo dalle persone che ci circondano, che ci aiutano a migliorare la città, senza secondi fini, senza chiedere nulla ma dando tanto: l’energia di dire che si può fare. Le città che hanno iniziato questo percorso di educazione al decoro stanno aumentando. Una speranza per un cambiamento reale per una nuova coscienza territoriale.