Gentile Direttore del quotidiano La Sicilia,
allego sotto uno stralcio tratto dell’articolo a firma di Carmelo Strano Graffitisti gli “Unni” del decoro urbano, pubblicato dal suo giornale nella rubrica De Gustibus (29 aprile 14)
La libera espressione è il segno inconfutabile della democrazia. Talvolta però è fin troppo facile scivolare fra “dotti e contorti pensieri teorici di titolati maestri” nell’istigazione a delinquere.
Le azioni vandaliche quando s’impregnano di esaltazione filosofica pseudorivoluzionaria non modificano il loro contenuto, che consiste nel danno reale inflitto alla comunità.
Tristissimo è poi il dover constatare che nelle sue considerazioni il Professor Carmelo Strano, peraltro rivolte prevalentemente a sbeffeggiare “l’impegno sociale di molti cittadini volontari pronti a intervenire dove latitano le istituzioni “, tenta perfino di insinuare il disgustoso concetto che i drammi gravissimi che hanno disonorato l’Italia (le cui incolpevoli vittime oggi, 9 maggio “Giorno della Memoria” vengono onorate) non riaccadano oggi (forse) grazie al vandalismo dilagante nel Paese quando afferma: “Dobbiamo forse (anche) a loro, rappresentanti sane delle devianze, se in giro non sentiamo quei botti tutti da scongiurare”.
La libertà di espressione è democrazia. Ricordo però che la responsabilità di certi drammi passati è attribuibile anche a cattivi maestri, i quali sanno sempre, usando parole adatte, come fare ad armare le mani di chi è influenzabile.
Con ossequio
Andrea Amato
onorato presidente di un folto gruppo di persone civili che amano l’Italia
tratto da articolo del 29 aprile 2014 “Graffitisti gli “Unni” del decoro urbano”
La Sicilia quotidiano ..rubrica settimanale De Gustibus a cura del Prof. Carmelo Strano
“Imprimere la propria pennellessa sul castello Ursino a Catania o sulla Fontana di Trevi a Roma è un attentato alla storia, al patrimonio artistico. Ma tante volte piuttosto che catturarli li si dovrebbe remunerare. Diciamo che il taggista è una sorta di tanghero, di pasionario. Apre orizzonti all’immaginazione, toglie grigiore alla condizioni ambientali modeste o degradate. E se ti imbatti in un murale, è come se avessi preso una boccata d’aria salubre anziché inquinata. Da remunerare quando lasciano il segno sugli insulsi edifici sbeccati apparsi come funghi tra anni sessanta e settanta, e che dominano la scena architettonica italiana. Ma le crociate sono partite.
Gli iconoclasti si sono costituiti in associazioni. Tra daltonici e timorati di arte, hanno fatto voto di castità. E se qualcuno (taggisti) impone loro il peccato carnale-murale, loro ispezionano i muri, all’alba, e puritanizzano il segno immondo lasciato nottetempo. I muralisti sono giovani e cuore pulsante della società. E sano. Perché potrebbero rivolgere altrove la loro marginalità. Specie in tempi in cui i giovani non hanno futuro. E hanno subito una mutazione genetica: non amano lottare. Dobbiamo forse (anche) a loro, rappresentanti sane delle devianze, se in giro non sentiamo quei botti tutti da scongiurare? Il decoro per l’EXPO? Altro che i graffiti! C’è da pensare che Milano saprà imbellettarsi con un’estemporanea soluzione per i tanti clochard che, come Snoopy, la notte guardano supini le stelle, spalle contro i cartoni allungati negli anfratti delle strade. 29/04/2014
Tommaso Incerti
9 maggio 2014 at 11:30
Se esistesse il modo di chiedere conto economico a chi “semina idee scellerate” e non ha neppure la giustificazione di essere ignorante, avremmo parecchi critici d’arte e professori da cui esigere rimborsi statosferici.
Ideologi del diritto di spregio e devastazione secondo loro insindacabile giudizio. Legale o illegale, a loro giudizio, non deve contemplare ciò che analizzano. Se uno di loro dice la magica parola “arte” tutto deve essere concesso, a prescindere.
Si dovrebbe poter fare una class action per difendere i diritti di recupero del patrimonio artistico italiano vandalizzato. Chiedendo anche un congruo compenso per l’induzione all’abbandono del turismo in Italia. Già in drammatica discesa in picchiata nelle ultime analisi degli esperti.
Devastare con pennarelli e bombolette opere giunte a noi da millenni di cura e attenzione non dovrebbe essere un suggerimento che “neppure troppo velatamente” esprime il benpensante emerito professore d’arte.
Speriamo lo capiscano i giovani che li sta solo babbiando. Forse questo è il suo vezzo? O ci crede davvero a quello che scrive?
Arianna
10 maggio 2014 at 17:19
Dire che Carmelo Strano e il Giornale di Sicilia, nel dargli spazio, abbiano totalmente frainteso il concetto di democrazia è dire poco. Sono andati troppo avanti nel dizionario: anziché fermarsi alla “A” di anarchia si sono fermati alla “D”. Tollerare la devianza, sottovalutare l’insofferenza per le regole non è affatto democrazia, cari signori, non giochiamo con le parole, per favore!
Luciano
11 maggio 2014 at 23:11
Se c’è qualcosa di “strano”, non è il cognome dell’esimio prof. ma il suo sproloquio giustificativo nei confronti di quelli che definisce i giovani “cuore pulsante della società”. E’ strano udire da una persona, che della cultura dovrebbe aver fatto una propria ragione di vita, una sorta di riabilitazione di quanti hanno finora oltraggiato indifferentemente la cultura nelle sue espressioni architettoniche, scultoree, monumentali. E’ strano che non accenni nemmeno a sfiorare la considerazione delle conseguenze che queste giovani “menti”, dedite alla ricopertura indiscriminata di superfici pubbliche e private, portano alla collettività in termini di danni materiali e di immagine. A suo parere, lasciare il segno su “insulsi edifici sbeccati” è togliere grigiore a condizioni modeste e degradate (…o sta parlando di casa sua?), ma vorremmo chiedergli se anche i segni lasciati dagli stessi taggari sulle metropolitane, sui vetri distrutti con l’acido, sulle superfici marmoree e sulle insegne lapidee sono da considerare antidoto al grigiore e alla modestia. Mi spiace ma, a volte, mi disgusta dover chiamare professore chi pensa che un writer armato di bombolette possa aprire orizzonti all’immaginazione spruzzando vernice sulle pareti di una villa settecentesca (Villa Litta?),e possa essere considerato destinatario di remunerazione. Fino a prova contraria, anche se per lui è piuttosto vago il confine tra legalità e illegalità, è molto più realistico pensare che sia il writer a dover risarcire la comunità. O no, “professore”?