Com’è bello un muro pulito, com’è bella una città pulita. E come sarebbe bella una Milano senza muri imbrattati. Impiastricciato, però, è tutto l’insieme della metropoli: targhe stradali, pali, porte e finestre, orologi e telefoni pubblici, pensiline, chioschi, perfino le sbarre delle cancellate, perfino quelle. Una città bollata, una città tatuata. E tatuati sono tanti, sempre di più, suoi abitanti e visitatori, che si marcano braccia e gambe, spalle e petto, glutei, dorsi delle mani e dei piedi. Una commistione grafica, un immenso campionario – tra città e persone – di simboli, immagini, messaggi e fregnacce. Esiste forse un segreto legame tra graffiti e tatuaggi, tra il corpo della città e il corpo di chi ci vive? Potremmo tentare di spiegare gli uni con gli altri?
Preferiamo non addentrarci in questo terreno, che è zona per specialisti, di quelli che analizzano i comportamenti e a volte li fanno dipendere dal colore delle cravatte che s’indossano. Ci limitiamo all’osservazione. E quel che è certo, sotto gli occhi di tutti, è che la città si mostri come un corpaccione denudato, esposto a tutte le operazioni di “scrittura”. E le persone, alla lunga, finiscono coll’assomigliarle e assumerne tic e malanni, in una sorta di mimetizzazione urbana. PER TENERE puliti i muri, si ammette, non si sa più come fare, dopo che si è tentato di tutto, compresa la concessione di spazi liberi al libero imbrattamento. Sporcare la città è una libidine inarrestabile, c’è poco da arzigogolare. E forse Milano farebbe bene ad astenersi dalla tentazione di nuovi sforzi in vista dell’Expo, che già ne richiede altri e più ardui: sarebbe lavoro inutile, fatica di Sisifo. Meglio presentarsi così come si è – nature, per così dire -, magari vantando la propria infinita disponibilità alla «realizzazione espressiva» dei giovani irrequieti di tutta Europa.
Non arriviamo a ipotizzare un servizio di navette per mostrare in tour i graffiti più significativi, ma, insomma, si potrebbe pur sempre inventare qualcosa per fare di necessità virtù. In una subliminale, mutua identificazione, davanti ai muri tatuati passano intanto, ogni giorno e ogni ora, i nostri corpi ricoperti di “graffiti”. Là, l’intonaco e la pietra; qui, la pelle: supporti diversi, ma ugualmente facili per questo moderno, irrefrenabile impulso dell’incidere le nostre segrete inquietudini. Immobile il muro, con le sue tag. Mobilissimi noi, col nostro catalogo di “opere” che ogni giorno portiamo in giro come mostra vivente.
Articolo di Piero Lotito apparso su Il Giorno del 3 settembre 2014
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