UN MODO DIVERSO DI VIVERE LA CITTA’
Alcuni anni fa – ad un convegno sull’illuminazione, in Portogallo – un architetto americano, Sheila Kennedy, presentò un suo lavoro fondato sulla luce solare, realizzato per i Paesi poveri del Sud America. Sheila disse di aver lavorato «with the heart», «con il cuore», appoggiando la mano sul petto. Era palesemente sincera e il pubblico – internazionale e non certo ingenuo – ascoltava con attenzione.
Se, nel nostro Paese, fosse stato un architetto italiano a dire la stessa cosa, l’accoglienza sarebbe stata ben diversa: sorrisini, incredulità, ironie se non scherno. Siamo cinici, noi italiani, e Milano non fa eccezione. C’è quasi vergogna ad ammettere che è bene agire «con il cuore». Strano Paese, il nostro, e strana città, Milano. Si realizzano sceneggiati, trasmissioni e spot pubblicitari affondati nella melassa di un sentimentalismo kitsch, eppure non si vuol dire che dobbiamo mettere cuore in quello che facciamo. Agire con il cuore non significa essere sdolcinati, ma accantonare, per un istante, il proprio tornaconto personale per cercare di realizzare qualcosa di utile alla comunità di cui di cui si è parte o alla città in cui si vive; e superare gli ostacoli, consapevoli che il benessere della collettività si tradurrà in benessere anche per noi stessi.
Agire con il cuore non implica la rinuncia ai propri guadagni o ai propri successi professionali: vuol dire lavorare «anche» per gli altri. Cerchiamo di recuperare questa dimensione. Agiamo con il cuore, e diciamolo senza vergognarcene! Lanciamo uno slogan: «lavoriamo con il cuore». Milano ne ha bisogno. Molti problemi che la affliggono si risolverebbero, se chiunque – in particolare chi ha ruoli dirigenziali o creativi – lavorasse con il cuore. Senza il cuore non si va da nessuna parte: tutte le cose importanti con il cuore furono realizzate.
Metteva cuore in quanto faceva il sindaco della Milano della ricostruzione, Antonio Greppi. Lavorava con il cuore Paolo Grassi, quando, con Giorgio Strehler, fondò il primo teatro pubblico italiano. E gli esempi non mancano anche adesso.
Ma anche semplici cittadini lavorano con il cuore, a Milano. Fra i tanti, i volontari del Vidas, che assistono i malati terminali. O coloro che si occupano dell’infanzia abbandonata o assistono gli anziani negli ospedali, o i volontari dell’Associazione Antigraffiti, che regalano tempo ed energie alla città per ripulirne i muri imbrattati.
Diamo a tutte queste persone che lavorano con il cuore un pubblico riconoscimento. Che sia di stimolo a tutti. Un premio per chi «ha cuore». Oppure, perché non ricavare all’interno del premio Ambrogino d’oro – fonte di polemiche ogni anno – una sezione dedicata non solo a chi dà lustro alla città, ma a chi «lavora con il cuore»? Si abbia il coraggio di farlo. Con il cuore. E senza vergognarsene.
Editoriale di GIANNI RAVELLI pubblicato sul Corriere della Sera il 14 settembre 2014
Tommaso Incerti
14 settembre 2014 at 16:34
Molto bello! Senza cuore, passione e generosità tutto diventa sterile.
Un concetto che chi ha la “fortuna di portare con sé nella vita” conosce bene.
Non ha nulla a che fare con la voglia di sentirsi più buoni degli altri.
Perché nel fare le cose con il cuore si innesta un immediato ritorno di energia, tanto positiva da venirne felicemente ed emozionalmente quasi travolti.
Si sta insomma molto, molto bene fisicamente.
Sarà che la testa lavora meglio, sarà che il sangue corre più veloce, sarà che così, come in natura, tutto trova le sue ragioni per riprodursi, ma è un fatto inconfutabile “la voglia di essere partecipi con il cuore”, rinunciando spesso al proprio tornaconto, si riproduce autonomamente, quasi fosse una specie di inarrestabile “fusione nucleare” dei benefici sociali e della gioia di vivere.
Grazie a Ravelli per averne parlato mettendoci il suo cuore.
Messaggio ricevuto Tommaso