Armati di bombolette, stickers o stencils, gli Street artists cambiano il volto di interi quartieri, colorano la rabbia delle periferie, ma sono anche protagonisti di aste e festival internazionali. E le loro opere “traslocano” dai muri raschiati a quelli intonsi dei musei. Ha ancora senso parlare di arte di strada? Sì, suggerisce la mostra “Mapping thè City”, alla Somerset House di Londra. Qui, lasciando da parte ogni forma di vandalismo, si racconta il rapporto tra oltre cinquanta writers e altrettante realtà urbane, viste come tele bianche da riempire. I lavori esposti riproducono angoli e vie cari agli artisti. C’è la Berliner Fernsehturm, scorta in lontananza dal più celebre “ritrattista” di Obama, Shepard Fairey, ma anche la Manhattan di Momo, tagliata da una tag di dodici chilometri il cui percorso compone lettere del suo nome; poi la caotica Bangkok, trasfigurata dall’americana Swoon in un’immagine femminile. «È la prima volta che una mostra propone un tema unitario con cui rileggere la Street art, invece di riunire semplicemente dei graffiti», spiega Rafael Schachter, creative director di A(by)P, l’associazione che ha collaborato con la Somerset House all’allestimento. Sinergie culturali, queste, che fanno da ingredienti anche per “Les Bosquets”, il film del guru dell’urban art, JR, in programma alla Galerie Perrotin di Parigi e New York a settembre [ 2015. Grazie a video, testimonian-1 ze d’epoca e un contributo del New York City Ballet, il fotografo-regista reinterpreta uno dei suoi lavori ! più noti: gli scatti dei ragazzi dei sobborghi parigini realizzati nel 2004 e affissi illegalmente, come poster formato extra-Iarge, ai muri di quartieri benestanti della capitale francese. Quasi a dimostrare – come aveva fatto, del resto, JR a Hong Kong con i ritratti di ordinary people “sospesi” sulla trafficata Connaught Road quanto sia importante, oggi, creare contaminazioni, raggiungere luoghi improbabili e coinvolgere un pubblico universale. L’hanno capito anche gli organizzatori del festival internazionale St-Art Delhi, che, sotto gli occhi del popolo del web, darà una seconda, coloratissima pelle a edifici pubblici e aree off-limits. Il progetto sarà infatti documentato da una fotogalleria online, in partnership con Google Cultural Institute (streetart.withgoogle.com/en/# home). Globalizzata, condivisa in rete, la Street art si è definitivamente lasciata alle spalle le atmosfere underground anni Settanta, consolidando la capacità di veicolare messaggi. Almeno fino a quando avrà il potere di stupire e incollare con il naso all’insù frettolosi passanti o milioni di internet viewers. Sopra e in senso orario. Shepard Fairey, “Berlin Tower”, 2011; Swoon, “Bangkok”, 2009-12: entrambe in mostra alla Somerset House dal 22/1 al 15/2 (somersethouse. org.uk). JR, “Inside Out Project, Hong Kong”, 2012 (foto courtesy Galerie Perrotin; perrotin.com; jr-art.net). Un murale raffigurante Gandhi realizzato da Hendrik ECB Beikirch e Anpu per il festival St-Art Delhi; prossima edizione 20/1-20/2 (foto courtesy Akshat Wauriyal). Chu (Julian Fabio Manzelli), “Buenos Aires”, 2013; Momo, “Tag Manhattan”, 3013: entrambe in mostra alla Somerset House.
Articolo di Sofia Mattioli pubblicato sul numero di gennaio 2015 di Vogue
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