NAPOLI, BANKSY E LA MADONNA CON LA PISTOLA
L’unica testimonianza del passaggio di Banksy in Italia è a Napoli. In origine erano due opere, entrambe ispirate al rapporto tra sacro e profano, con quella cifra dissacrante che ha reso celebre l’artista senza volto di Bristol. Una rivisitazione in chiave consumistica dell’estasi di Santa Teresa, con annesse cibarie da fast food, era in via Benedetto Croce: un writer (dissennato) coprì completamente lo stencil con una grossa tag. L’altra è ancora integra, in buone condizioni, e si trova su un muro in piazza dei Gerolomini, a due passi dal Duomo: anche questo uno stencil, detto la Madonna o l’Angelo “con la pistola”. Accostamento ludico ed estremo, tra iconografia religiosa e simboli malavitosi.
Il Banksy napoletano superstite è ormai meta di continui pellegrinaggi, fra appassionati del genere e semplici curiosi: un’attrazione turistica, che la città vorrebbe giustamente tutelare. È così che l’Osservatorio Internazionale sulla Creatività Urbana, ubicato proprio a Napoli, ha più volte sensibilizzato amministrazioni e opinione pubblica sul destino e l’importanza del gioiellino street: come proteggerlo da eventuali vandalismi? Come ritardarne il naturale processo di deterioramento? È ipotizzabile un intervento di restauro? Ha risposto nei giorni scorsi il Comune, per voce dell’assessore alle politiche giovanili Alessandra Clemente: “Molti sono i giovani che visitano l’opera di Banksy condividendo i selfie col suo “angelo” sui social ed anche così si fa promozione della nostra città. Prolungare la vita di quell’opera è un dovere di noi amministratori, perché la street art, quando è di tale livello, è un vero e proprio bene comune”.
OPERE CONSUMATE, MA ANCHE VANDALIZZATE. UNO SGUARDO SU ROMA
Street art sempre più istituzionalizzata, dunque. Tra progetti di riqualificazione urbana, che affidano agli artisti muri e intere palazzine, e ipotesi di recupero conservativo. Sono lontani i tempi in cui, associando vandali, taggaroli e artisti talentuosi, la lotta contro l’arte di strada procedeva senza scrupoli e senza distinzioni.
Ma sul tema “tutela” si apre una questione di fondo: ha davvero senso contrastare la natura dei murales, nati per esporsi ai rischi dell’ambiente urbano? Ha senso contrastare fenomeni atmosferici e insidie varie, incluse aggressioni o normali stratificazioni? Il decadimento è messo in conto, come pure la sovrapposizione di altre opere, tag o scritte irrispettose. In certi casi un fatto di lotte tra crew (e non mancano, probabilmente, le tensioni fra artisti autorizzati e writer indipendenti), in altri semplice maleducazione, invidia, bullismo da marciapiede.
Che fare? Restaurare? Sorvegliare? Intervenire? Di bellissimi murales offesi, coperti da sgorbi e devastati per sfregio, ne abbiamo incontrati diversi, a Roma durante i sopralluoghi per la nuova app, progettata da Artribune con Toyota e attesa per fine aprile 2015: dal Batman astratto di 108, a uno degli intensi wall painting dello spagnolo Borondo, passando per una scena dalla “Divina di Commedia” raccontata da Guy Denning. Esempi random, da una lunga serie di attacchi, alcuni dichiaratamente vandalici, altri riconducibili alle consuete dinamiche tra writer.
Ed esistono, in questo quadro, casi felici in cui l’opera è stata recuperata spontaneamente, grazie al lavoro e all’autofinanziamento di associazioni volontarie o comitati di quartiere (vedi i ritratti cinematografici di Diavù, all’Ex Cinema Impero, o il murale collettivo contro il femminicidio a San Lorenzo). Casi in cui l’opera sviluppa un valore simbolico importante, per la comunità di riferimento e la collettività.
E poi c’è l’azione del tempo, la più implacabile, che per molte opere fa parte de gioco: il tromp l’oeil concettuale del collettivo Sbagliato, prodotto a Roma da 999gallery, è un’affissione sul muro di una palazzina, pensata per consumarsi lentamente. Oggi ridotta a brandelli. Una perdita, che appartiene alla logica di molte opere en plein air.
CANCELLATURE D’ORDINANZA. QUANDO L’AMMINISTRAZIONE NON VIGILA
Ma se la sparizione naturale resta, per forza di cose, inevitabile, quella causata dall’’indifferenza delle amministrazioni appare particolarmente odiosa. Un esempio su tutti, ancora a Roma, è quello dello splendido “Catalogo” di Lucamaleonte & Hitnes, composizione botanica di grande raffinatezza, prodotta nel 2013 in un sottopasso di Ostiense. E imbiancata poco dopo, durante i lavori di consolidamento e ristrutturazione del ponte ferroviario di via delle Conce. Adesso, in quel punto, c’è uno strato di intonaco grigio, disteso senza scrupoli su un’opera d’arte, per altro autorizzata. La questione della tutela, qui, non lascia dubbi: qualcuno poteva e doveva controllare. Sempre di imbrattatori, in certi casi, si tratta: che sia un pischello armato di bomboletta o l’imbianchino di un cantiere edile.
DALL’ILLEGALITÀ ALLA DIMENSIONE SOCIALE
Nel mezzo di una questione che rimane aperta, ci si ritrova dinanzi all’originaria diatriba: street art come pratica illegale – e dunque selvatica, libera, antisistema, resistente al controllo e dunque alla tutela – oppure street art socialmente metabolizzata, tra meccanismi della committenza, rispetto delle regole, pianificazione urbanistica, finanziamenti, produzioni ufficiali. In quest’ultimo caso, restauro, protezione e conservazione diventano ipotesi possibili. Certamente divergenti, rispetto all’identità di un genere politically uncorrect per definizione, ma anche naturali: cambiano i linguaggi e le prospettive, l’immaginario collettivo e la stessa attitudine di legislatori ed amministratori. Cambia la cultura, tout court.
E mentre viene meno il senso che fu, ne emergono di nuovi. Il processo di riqualificazione delle molte borgate metropolitane; il lavoro svolto dal basso, tra artisti, cittadini e associazioni; i percorsi educativi con i residenti, per la difesa del patrimonio e la conquista del senso civico; l’azione condotta nell’ambito dell’edilizia popolare e scolastica, delle carceri o degli ospedali; lo sforzo di rivalutare luoghi di confine o di disagio sociale: tutti fattori che disegnano una geografia diversa, mediata dall’azione dell’arte lungo le arterie dello spazio pubblico. La vocazione politica della street art, oggi, passa prevalentemente da qui. Un valore comune, uno spostamento di metodo, un’altra maniera d’essere incisivi. Agendo, oltre l’illegalità, in direzione del cambiamento.
Articolo di Helga Marsala pubblicato il 31 marzo 2015 su Artribune
Enza P.C.
11 maggio 2015 at 05:02
“NAPOLI, BANKSY E LA MADONNA CON LA PISTOLA
L’unica testimonianza del passaggio di Banksy in Italia è a Napoli. In origine erano due opere, entrambe ispirate al rapporto tra sacro e profano, con quella cifra dissacrante che ha reso celebre l’artista senza volto di Bristol. Una rivisitazione in chiave consumistica dell’estasi di Santa Teresa, con annesse cibarie da fast food, era in via Benedetto Croce: un writer (dissennato) coprì completamente lo stencil con una grossa tag.”
Ecco fatto ..dunque: se Banksy volesse per le sue opere l’eternità le realizzerebbe in spazi protetti. Non lo fa proprio per esprimere il concetto di arte effimera e trasgressiva. Punto. Leggiamo e sentiamo tante opinioni che si contrappongono sull’opportunità o meno di pulire dov’è vandalizzato. Nell’era dei “mi piace o non mi piace” prevale in molti l’idea di avere con un clic il “potere di giudizio”. L’abbiamo nel dna la voglia di imitare i nostri antenati romani quando nelle arene, mostrando alla folla il pollice ritto o verso, determinavano la vita o la morte dei primi cristiani e dei gladiatori. Molto cinematografico ma poco efficace per definire le regole del vivere civile. Bhe…il diritto romano era molto molto altro ed era chiarissimo su alcuni imprescindibili comportamenti “vivere onestamente, non danneggiare nessuno, dare a ciascuno il suo”. Può già bastare, vero?
Il resto, tutto il resto, sono solo opinioni. Bello o non bello, quando è illegale deturpa e lede un diritto di altri e non può essere imposto da chi si mette a rimirarne le fattezze, per poi arrogarsi un diritto di scelta che la legge non gli permette. E’ tempo perso e in Italia di tempo se n’è perso anche troppo in mollezze e scambi di opinioni fino allo sfinimento. Solo i cittadini stanchi di luoghi oltraggiati hanno capito fino a che punto questo andazzo in Italia sta facendo abbattere drammaticamente il gradimento del turismo straniero. Degrado e trascuratezza portano decadenza e delinquenza. E ci sono paesi emergenti e belli dove la sensazione di pericolo è meno incisiva perché sono ordinati e puliti. Noi non lo siamo più. Pulire, senza chiacchierarci su fino allo sfinimento, equivale a lanciare un salvagente a uno che sta annegando. Scegliere di non lanciargli il salvagente mentre a gran voce si teorizzano le regole e i pregi del buon nuoto a stile libero, mentre lui sta bevendo acqua a morte, alla fine lo farà solo affogare.
L’Italia non può affogare dentro un mare di parole, preda di artistoidi vandali e critici d’arte improvvisati.
Morena Cerretelli
28 maggio 2015 at 02:17
Ma siete dotati di boccia di cristallo magica o cosa? A vedere i davvero sgradevoli fatti accadutivi, riempiti con fiumi di parole, nefandezze e aggressività a sproposito, dopo il pasticcio del 16 maggio, esattamente cinque giorni dopo che avete postato sul sito queste considerazioni. Dal commento sembra che sappiate prima cose che accadono poi.
Però non siete sfuggiti neppure voi, generosi e apprezzati cittadini volontari, all’amaro destino dell’Italia di cui parlate.
Per quel fatto legato a via Cesariano di parole, inzuppate nel caffellatte delle bugie come i savoiardi, mi pare che ne siano state sprecate parecchie. Non intristitevi più di tanto, avete un compito importantissimo. Visto la poca voglia di pulizia che gira a Milano e in Italia, e vista la tanta premura mostrata per un muretto già sporchissimo e lasciato al languire ricoperto dalla violenza di altri bombolettari, per anni in mezzo a un mare di schifezza, confesso che non so proprio se c’è da ridere o da piangere.
Ma voi non vi fermate per favore, siete la speranza per tanti milanesi.