Reggio Emilia
Un cammino segnato dai cingoli di un trattore, di un R60, solchi che collegano le lotte del 1950 e l’arte di strada del 2015. Sabato le autorità cittadine si sono ritrovate per parlare del futuro dell’enorme complesso delle ex officine Reggiane, della nuova ristrutturazione che dovrebbe coinvolgere almeno altri due capannoni. Domenica, invece, si è tenuta un’altra riunione, non meno importante e non meno densa di contenuti e idee. Una quarantina di writer da mezza Italia, e pure qualcuno da fuori confine, arrivati per una giornata di lavoro senza sosta in uno dei principali edifici rimasti, tutti pronti a rispondere alla chiamata degli artisti di strada reggiani – Collettivo Fx, Psico Patik, Bibbito e altri nomi ormai ben noti – che da sei anni hanno trasformato l’areale in uno degli scenari artistici più evocativi di tutto il paese, iniziando a intrufolarsi clandestinamente fra viottoli e pareti per decorarle una dopo l’altra: ultimo prodotto di una fabbrica che di oggetti ne ha realizzati davvero tanti. Nata nel 1901, diventata “le Reggiane” nel 1904, ha vissuto sulla propria pelle la crescita dell’Italia. Prima i prodotti ferroviari per collegare una nazione che faticava a definirsi tale, poi le guerre, e la grande esplosione della produttività bellica. Gran parte degli aerei militari usati dal Regio Esercito nei due conflitti sono stati assemblati proprio in via Agosti, alternati alle macchine agricole che nel dopoguerra hanno ripreso forza scalzando l’aeronautica. Le Reggiane hanno fatto da teatro anche a molti momenti tragici e cruciali. Il 28 luglio 1943 gli operai si mobilitano contro la guerra, dopo la caduta di Mussolini si voleva la pace. I bersaglieri sparano ad altezza uomo, il conto finale è di nove vittime, fra cui una ragazza incinta di otto mesi. Quel sangue, hanno detto tanti partigiani dopo la guerra, ha spinto molti a salutare la città e a salire in montagna, nei primi convulsi mesi della Resistenza. Domenica è stata la volta di un raduno di altissimo livello per gli appassionati di genere, con tutti i principali artisti della scena pronti a una sfacchinata e a una lunga tirata coi pennelli in compagnia. La ricorrenza non era da poco, i 65 anni dall’occupazione delle Reggiane, iniziata l’8 ottobre 1950 per protestare contro un piano da 2.100 licenziamenti, conclusa un anno dopo con la liquidazione coatta dell’azienda. La più vasta occupazione operaia di una fabbrica nella storia d’Italia, segnata dalla mobilitazione di un’intera città e dalla voglia degli occupanti di lavorare comunque. Il più famoso prodotto delle Reggiane, il trattore cingolato R60, viene infatti progettato e realizzato proprio nei dodici mesi della battaglia delle maestranze, e rimane non a caso il grande simbolo di quei giorni. Ricordato domenica con un bel disegno che lo raffigura e con la visita della donna che, 65 anni fa, doveva guidarlo durante una sfilata pubblica, l’89enne partigiana Giacomina Castagnetti, all’epoca impegnata nella raccolta di beni per sostenere la lotta degli operai reggiani. Una nuova dimostrazione del valore che le Reggiane hanno ormai raggiunto per l’arte di strada contemporanea. I disegni che negli ultimi sei anni hanno reso coloratissima e suggestiva l’area raccontano di una storia molto più lunga, e soprattutto ricordano quanto le officine siano centrali nel percorso sociale e culturale reggiano. Il grande orgoglio industriale, l’icona della resistenza proletaria (nel 1943 contro la guerra e nel 1950) e oggi luogo riconosciuto per l’arte e l’espressività. Non sono mondi lontani, come potrebbe apparire ad uno sguardo lontano, ma tutte tappe di un’unica vicenda, collegate fra loro dai segni lasciati dai cingoli dei trattori. Le immagini e le opere odierne ne fanno parte a pieno titolo, tanto come le tracce delle gru utilizzate per costruire gli aerei da guerra ottant’anni fa. L’arrivo di quaranta artisti per un solo giorno insieme lo sottolinea una volta di più.
Articolo della Gazzetta di Reggio di Adriano Arati del 13 Ottobre 2015
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