Spettacoli
Ai telespettatori più attenti non è sfuggito il boicottaggio interno subito dagli autori della celebre serie tv statunitenese Homeland (ripartita il 4 ottobre su Showtime), orchestrato da un gruppo di artisti berlinesi ed egiziani (si fanno chiamare Arabian Street Artists, alias Heba Amin, Caram Kapp e Stone) ingaggiati (e stipendiati) dalla produzione stessa per decorare con graffiti e scritte in lingua araba un set allestito a Berlino che doveva assumere l’aspetto di un campo profughi libanese. Ebbene, nel corso della puntata (la seconda della quinta serie) sui muri del set campeggiavano a caratteri cubitali frasi come «Homeland è razzista», «Homeland non è una serie tv» e «Questa serie non rappresenta il punto di vista degli artisti». Pare che i graffittari abbiano preparato questo scherzo di cattivo gusto per vendicarsi di una serie tv che «offre una descrizione di arabi, pakistani e afghani inaccurata, omologata e molto stereotipata». In realtà la serie, che ha per protagonisti l’agente della Cia Carrie Mathison (Claire Danes) e il marine Nicholas Brody (Damian Lewis), a lungo prigioniero di al-Qaeda e sospettato di spionaggio, ha un approccio politicamente corretto e rispettoso della cultura araba (l’apertura di un episodio mostra un gruppo di civili falcidiati per errore da un raid statunitense). Semmai, l’impressione che si ricava dalla vicenda è che un certo fondamentalismo islamico, ossessionato dall’Occidente come antagonista storico, non sia disposto a fermarsi di fronte a nulla. Morale della favola? Occidentale, assumili per collaborare alla tua serie tv, pagali lautamente e ti diranno che fai schifo.
Articolo di Libero di Andrea E. Cappelli del 17 Ottobre 2015
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