Graffiti , le città sguinzagliano i vigili. E nei quartieri ci sono i volontari

Bologna

Stamane saranno nel centro di Bologna per ri-cancellare deliri vari dai muri. Stessa strada, stesso punto. Ma allora la battaglia contro i graffiti è senza fine? «Sì, se non si agisce su due fronti, repressione ma anche educazione». Francesco Massarenti – un nome, una storia -, è consigliere di quartiere del Pd e cittadino ‘no tag’, così si chiamano i volontari antiwriters che sono ormai centinaia in tutta la città. Decine gli interventi di pulizia. Ci sono i cittadini e ci sono i vigili. Le squadre della sicurezza o antidegrado. Ultimi nati a Forlì. Ma è Bologna ad avere anticipato tutti. Bisogna tornare ai tempi di Giorgio Guazzaloca, il sindaco che buttò giù il muro rosso e volle un assessorato alla sicurezza. Chi arrivò dopo, Sergio Cofferati il Cinese, più che sui graffiti sterzò sui «lavavetri aggressivi», «dietro di loro c’è il racket», disse. E usò i vigili per marcarli stretti, mandando in estasi la Lega e litigando con i suoi. Bologna sui tag tiene le multe al quasi minimo, 50 euro. Milano ha deciso per il massimo, 500. In Lombardia – dov’è nata anche un’associazione nazionale contro i graffiti – ci sono stati pure tre arresti per danneggiamento. Bologna punta sui volontari. Spiega ancora Massarenti: «Noi identifichiamo delle strade, l’amministrazione presenta le richieste di autorizzazione a privati e soprintendenza. Concordiamo tinte e materiale e partiamo. Con noi lavora la cooperativa sociale ‘Fare mondi’. Con 150 euro all’anno un condominio si abbona a una ripulitura costante». La spinta iniziale l’avevano data i commercianti dell’Ascom. E se «la via penale si risolve sempre con l’archiviazione, ora la gente ora ha cominciato a chiedere i danni». Pare più efficace.

Fabiola Minoletti, biologa e mamma, segretaria dell’associazione nazionale antigraffiti di Milano. Qual è l’identikit del writer? «Comincia a 12 anni, più o meno uno su due ha tra i 19 e i 25 anni. Quasi sempre ha fatto studi d’arte, le donne sono pochissime. Negli ultimi anni i writers sono diventati più aggressivi». Un’associazione antigraffiti per fare cosa? «Ad esempio per sensibilizzare cittadini e istituzioni sul vandalismo, da non confondersi con la street art. Organizziamo giornate di pulizia, 58 fino ad oggi. Siamo nati nel 2006, tutti volontari. Andiamo nelle scuole, cerchiamo di conoscere quanto più possibile il fenomeno». La città peggiore? «Senza dubbio Napoli». Bologna a che livello? «Direi medio, anche se la zona universitaria è massacrata. Si salvano i piccoli centri, magari al confine, al nord». Come viene punito il graffitismo? «Intanto con l’articolo 639 del codice penale. Prevede il processo, sanzioni e risarcimenti. In teoria il carcere, per imbrattamento a monumenti vincolati e in caso di recidiva. Ma in Italia non ci si è mai arrivati». Com’è finita a occuparsi di graffiti? «Da una battaglia contro la prostituzione. Lanciai per prima in Italia il progetto ‘Milano quartiere pulito’, che voleva dire una zona senza scritte, mantenuta così dai residenti». Intanto si moltiplicano un po’ ovunque le squadre di vigili antigraffiti. Funzionano? «A Milano sì. Anche perché la procura ci ha messo a disposizione un pm che si dedica esclusivamente a questo reato. Ci sono centinaia di indagati». Scovati come? «Più della fragranza, contano le indagini in rete. I writers vanno cercati sui social. Perché il graffitaro vuole l’anonimato ma insieme desidera anche essere visibile. Le inchieste informatiche sono un’attività complessa. Che richiede tempo». Se uno si guarda attorno c’è di che essere pessimisti. Sembra che la soluzione non l’abbia ancora inventata nessuno. «Da noi c’è sicuramente una visione sbagliata dei graffitari. Vengono considerati dei romantici che hanno slanci giovanili. Ma non è più così». E com’è? «Il writer esprime la sua rabbia sui muri, vuole lanciare messaggi. Il 9% dei denunciati a Milano poi passa ad altri reati, piccolo spaccio o aggressioni. Questo dimostra che hanno ragione gli americani. Loro considerano il graffitismo vandalico un reato soglia».

Articolo de Il Resto del Carlino di Rita Bartolomei del 7 Novembre 2015

 

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