Dai muri di periferia alla tela I graffiti «strappati» ai cantieri

Bologna

L’ultimo «strappo» è in via della Liberazione. Visibile a chiunque passi: una porzione di muro ritinteggiata, stranamente nuova rispetto al contesto. A essere stato «strappato» è un disegno di Blu, uno dei nomi più noti della Street Art, formatosi artisticamente a Bologna negli anni dell’università. Il nostro Banksy, insomma. Quel murales ora, insieme a decine di altri, non solo suoi, si trovano in un laboratorio alle porte di Bologna, gelosamente custoditi e al riparo da sguardi indiscreti, dopo un certosino lavoro di conservazione. Non pulitura, perché la natura del murales è essere opera di strada, magari sporca, di sicuro segnata. Queste opere (oltre a Blu, sicuramente Ericailcane e altri) sono l’embrione di un progetto coltivato da un agguerrito gruppo di esperti del settore che fa riferimento al presidente di Genus Bononiae, Fabio Roversi Monaco. Storici dell’arte dell’Alma Mater come Luca Ciancabilla, che sta per dare alle stampe una pubblicazione dedicata al tema, e restauratori (il team guidato da Camillo Tarozzi, insieme a Marco Pasqualicchio e Nicola Giordani)che hanno deciso di lanciare una sfida prima di tutto di natura culturale a artistica: fare in modo che i graffiti d’autore (qui non si parla certo di muri imbrattati e «tag») possano entrare nelle sale dei musei, salvarli dall’inevitabile distruzione a cui sono destinati nei cantieri che demoliscono le ex zone industriali, terreno prediletto di azione degli street artist; e renderli, soprattutto, fruibili potenzialmente a tutti. Una sfida culturale che potrebbe far brillare Bologna ben oltre i propri confini. Se sarà vinta. Perché le resistenze è già presumibile saranno diverse: quelle dei critici contrari all’operazione di distacco delle opere (anche se condannate a essere abbattute assieme ai muri su cui hanno vissuto per anni, via via dimenticati); quelle, forse, degli stessi artisti, graffitari spesso volutamente inafferrabili di cui si conoscono i nomi d’arte ma quasi mai quelli all’anagrafe, geneticamente e politicamente avversi a essere inquadrati. Il grande Bansky, del resto, fa scuola anche in questo, arrivando a disconoscere (togliendole dal suo sito) le opere che vengono «commercializzate»: magari porte e finestre staccate dai legittimi proprietari e vendute spesso a peso d’oro. Succede in Palestina, per esempio, succede in molti altri Paesi. Non è questo, però, che sta accadendo a Bologna dove il team che da mesi lavora al progetto ha come obiettivo la condivisione delle opere in questione, non la loro commercializzazione. Operazione squisitamente culturale e artistica, dunque, non business. Poi, certo, se il progetto riuscirà a diventare anche una grande mostra, come pare, che Bologna sarà magari in grado di esportare all’estero, ben venga. Vorrà dire che la città ha compreso natura e obiettivi dell’operazione: sfida vinta, dunque. È circa da un anno che gli «staccatori» sono all’opera muovendosi in giro per la città. Si muovono soprattutto nella prima periferia di Bologna dove diversi cantieri in fase esecutiva stavano mettendo a rischio la sopravvivenza stessa di importanti murales, alcuni alti diversi metri. Come alle ex Officine Cevolani: tutto da abbattere, tutto da distruggere. Operazioni salva-graffiti tecnicamente complesse che hanno richiesto il montaggio di impalcature. Un’avventura nell’avventura, non solo dal punto di vista tecnico. Il grosso del lavoro è terminato, a questo punto: tutto quello che si poteva staccare, previo via libera delle proprietà dei muri in questione, e che valeva la pena condurre su un nuovo e più duraturo supporto, la tela, è stato messo al sicuro. Un inedito tesoro di pezzi unici che aspetta di rivelarsi alla città.

Articolo del Corriere di Bologna di Claudia Baccarani del 24 Dicembre 2015

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