«Come fosse la pelle della tigre» Il restauratore di Blu e Cimabue

BOLOGNA

Da Cimabue a Blu. Agisce oltre i pregiudizi Camillo Tarozzi, restauratore bolognese fra i più apprezzati, al lavoro dai primi anni ’70 con sovrintendenze, musei, gallerie e adesso alle prese anche con la street art: mentre nelle sale della Collezione Lercaro cura La Madonna in trono con il Bambino e i due Angeli del Cimabue, nella sua bottega del Pratello sta conservando una quindicina di «pezzi» (o murales o graffiti, come preferite) di affermati writer come Blu ed Ericailcane che ha salvato dalla certa distruzione (l’ultima in via della Liberazione, mentre sono state già individuati altri lavori di Pea Brain, Dado, Cuoghi Corsello sui binari della ferrovia, al Labas…) Insieme a Fabio Roversi Monaco di Genus Bononiae e allo storico dell’arte Luca Ciancabilla è infatti impegnato nella salvaguardia delle opere degli artisti che hanno operato in strada a Bologna e che sono in procinto di essere cancellate, eliminate, abbattute. Conservazione allo stato puro. In sostanza Tarozzi e i suoi collaboratori Marco Pasqualicchio e Nicola Giordani in primis, e poi stagisti e studenti, staccano dalla parete l’opera, «come se fosse la pelle di una tigre», grazie a particolari tecniche che sono state affinate in tanti mesi di studio, «ogni muro ha le sue caratteristiche e anche i lavori». Gruppo di sperimentatori, all’avanguardia in Italia, «abbiamo tirato via anche pezzi dal cemento armato o dipinti giganteschi da 5 metri per 12 che poi ho dovuto dividere in 4», racconta Tarozzi, amante dell’arte, tutta, giramondo da sempre, «ho apprezzato Haring a New York così come ho scoperto Paolo Uccello a Bologna o come sono intervenuto su Duccio di Boninsegna». E ora con i colleghi del super valutato Banksy. «Siamo un po’ dei pionieri». E provocatori. «Vorremmo stimolare i critici. Il dibattito è vivace e articolato, ci sono temi come la proprietà dell’immagine, le spinte del mercato…». Anche il Comune ha deciso di salvare certi «pezzi», come la parodia del Signore degli Anelli di Blu all’XM24, «una meraviglia: dovrebbe restare per sempre lì ed essere il simbolo del nuovo Navile». Tarozzi, comunque, è in grado di staccarlo. E poi? Con Roversi Monaco l’idea è magari di fare una grande mostra, «senza intenti speculativi, ma solo divulgativi, presentando anche opere provenienti da altri musei (Banksy è esposto con tanto di muro, mentre a Bologna l’opera diventa sottile pellicola, ma con tutte le imperfezioni del muro, poi messa su tela, ndr )». Un racconto del presente iniziato due anni fa, davanti a una mostra sul restauro (antico) a Ferrara, con Roversi che coglie le suggestioni di Ciancabilla e Tarozzi. Sarà lui a trattare il «recupero» delle opere realizzate alle Officine Casaralta o alla Cevolani e a ospitare l’eventuale mostra. L’avventura ha bisogno anche di qualche finanziatore, però: l’unico al momento è Giorgio Minarelli, spinto dalla figlia Carlotta e dai nipoti. Chi vuole si faccia avanti.

ARTICOLO DEL CORRIERE DI BOLOGNA DI FERNANDO PELLERANODEL 27 DICEMBRE 2015

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