LA LETTURA
Tutto cambia, anche la street art. Che c’è da sempre e non è mai stata nuova, penso ai graffiti degli anni Settanta, a New York, a Keith Haring. Eppure dal Duemila, quando io ho cominciato, grazie a internet la diffusione dei nostri lavori è diventata globale, si parlava di post graffitismo, di urban art. Di una stagione pionieristica underground , nata dalla contestazione, pronta a usare linguaggi non sempre legali. Di un’espressione artistica dalla forte componente attivista e veicolata dalla rete, strumento fondamentale per tenere contatti con i «colleghi».
Le prime mostre, almeno in Italia, arrivano nel 2005 con l’ Urban edge show di Milano, un trentennio di storia dell’arte urbana dal 1970, tre generazioni a confronto suddivise in tre aree tematiche. Ma il vero «sdoganamento» lo dobbiamo a Vittorio Sgarbi, ideatore della mostra – sempre a Milano, nel 2007 – Street Art, Sweet Art al Pac. Per noi, da allora, il mondo cambia. Cambia come è giusto che sia, nel bene e nel male. Le gallerie si accorgono di noi, il denaro entra a far parte della nostra produzione, come per tutte le avanguardie gli equilibri si modificano, la creatività degli «artisti urbani» diventa più decorativa e meno attivista.
È un dato di fatto, niente di cui scandalizzarsi. Da quel momento i Comuni scoprono di poter fare con noi riqualificazione urbana a basso costo, «le città hanno bisogno di colore», ci dicono, e noi possiamo contare su un grosso seguito (pensateci: a parte Maurizio Cattelan, i grandi nomi dell’arte contemporanea sono praticamente sconosciuti ai più). Ebbene, dicevo, i sindaci e le amministrazioni iniziano a contattarci, cominciano a spuntare in tutto il Paese manifestazioni che diventano un momento di trasformazione per tutto il movimento, che ci costringono a guardare dentro noi stessi, a misurare le mutazioni del nostro lavoro. Ci siamo imborghesiti? Sì, forse. Un tempo eravamo più anarchici. Con i festival, il grande muralismo (no, non moralismo), siamo diventati più privilegiati e morbidi rispetto allo spirito controverso di un tempo.
Attenzione: non è una critica, è cronaca, sta nell’ordine delle cose evolvere e cambiare pelle, soprattutto nell’arte di strada. Che, devo ammettere, nella fase pionieristica è stata stupenda. Ma i fatti sono questi, il fenomeno è cresciuto e cambiato, ora viviamo una stagione ricca e interessante con un’abbuffata di muri di cui vedremo solo più avanti cosa rimarrà. Ma il bello della street art è proprio questo, non ci resta che aspettare. Del resto anche i miei pinguini stanno diventando vecchietti…
ARTICOLO DI PAO DEL CORRIERE DELLA SERA DEL 27 DICEMBRE 2015
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