La street art senza street forse non è più art

BOLOGNA

Un picnic in sala da pranzo è ancora un picnic, o è una cena? Una mostra di street art che strappa le opere dalla street e le espone nel chiuso di un museo, è ancora street art? Sta diventando un caso nazionale la mostra che Genus Bononiae, potente istituzione culturale presieduta da Fabio Roversi Monaco, dedicherà presto ai graffiti bolognesi di noti writer (da Blu a Ericailcane) «salvati dalla distruzione», cioè scuoiati dai muri di periferia, dove in effetti le dinamiche urbane prima o poi li condanneranno alla sparizione. Ci si accapiglia su questioni etico-giuridiche (a chi appartengono le opere? Chi ha il diritto di appropriarsene? Il copyright tutela anche le opere realizzate illegalmente nello spazio pubblico? Gli autori possono opporsi ? Lo faranno?). Mentre una domanda taglierebbe la testa al toro: una mostracosì ha senso? La rispostaè inevitabile: cultura! Raccogliere l’arte dei writer, valorizzarla, “salvarla”, non è fare cultura? Curioso: è stata appena rinviata a giudizio Alicè, al secolo Alice Pasquini, graffitara di fama, per aver steso senza permesso i suoi colori sui muri di Bologna. Gli artisti di strada vanno sotto processo mentre le loro opere vengono requisite e messe nei musei. Un esercito di buoni cittadini, lo scorso maggio a Milano, si affannò a cancellare i murales di Pao e Linda che “deturpavano” un triste parchetto suburbano. Ora dovranno pagare il biglietto se vorranno andare a vedere al museo quel che è sfuggito alla loro furia iconoclasta. Se è cultura, è un po’ schizofrenica, ne converrete. I curatori della mostra sono sicuramente consapevoli che i graffiti, una volta asportati dal contesto per il quale erano stati pensati e trapiantati nel museo, non sono più quel che erano: non più di quanto un fossile di ammonite sia ancora il cefalopode che guizzava nei mari del Giurassico. Ma la cosa non sembra impensierirli. Per ribattere alle polemiche, uno di essi, Christian Omodeo (l’altro è Luca Ciancabilla) chiede polemicamente ad Artribune: «Ha senso esporre i marmi del Partenone al British Museum?». Bene, la domanda non è retorica, e ha ricevuto da tempo una risposta: se ne ha uno, è diverso da quello che finge di avere. I musei si spacciano per templi dove l’arte si contempla nel suo grado più puro, mentre sono magazzini di oggetti culturalmente sradicati e impoveriti (benché utili quando non c’è altro modo per conservare i fossili morti di quella che fu l’arte viva di una società). «I musei funzionano come macchine per trasformare in falsi le opere autentiche che vi sono ammesse», ha scritto Jean Clair, guastafeste dell’arte contemporanea. Una pala d’altare medievale ebbe pieno senso sull’altare per il quale fu creata come oggetto di culto, e solo fino a quando è stata oggetto di culto. Dopo diventa un oggetto orfano, spogliato di molto del suo senso. Dalla bianca lavatrice che è il white cube del museo (i musei d’arte sono elettrodomestici recenti nella storia della cultura) l’opera esce candeggiata e asciugata. Tranne quella fatta apposta per finire al museo, ovviamente. Ma l’autentica street art è sberleffo illegale ai luoghi della cultura, è critica guerrigliera al paesaggio urbano degradato e mercificato. Scrive Banski, primula rossa degli intonaci: «Certi poliziotti vogliono fare del mondo un posto migliore, certi vandali un posto più bello». Poi alcuni writer cedono alle sirene del mercato, fatti loro. Ma i graffiti nati nel conflitto urbano forse è giusto che muoiano lì, sul campo di battaglia che hanno scelto, sotto i solventi dei condòmini o le ruspe della rendita fondiaria. Addomesticarli nel recinto di una mostra è come catturare una tigre (magari in via d’estinzione) per esibirla sulla pista di un circo. Il sistema dell’arte, per l’iconologo Horst Bredekamp, è un modo per domare la paura dell’uomo nei verso le immagini selvagge. Poi a qualcuno lo zoo piace, e non tutti hanno altri modi per vedere una tigre. Ma non è la giungla. E non è più una vera tigre, è solo una povera bestia stanca e prigioniera.

ARTICOLO DI MICHELE SMARGIASSI DELLA REPUBBLICA DEL 5 GENNAIO 2016

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