GENERICO
«La Street Art è il movimento artistico oggi più capillarmente diffuso nel pianeta, in ogni continente. I suoi adepti – spesso celati sotto pseudonimi – sono contesi da musei e galleristi, così come dalle forze dell’ordine, in quanto il confine tra un capolavoro e un atto di vandalismo può essere talvolta molto labile. Sulla bocca di tutti, la Street Art rimane però per molti versi ancora avvolta nel mistero». A scrivere queste righe è Duccio Dogheria, nell’introduzione del suo Street Art. Storia e controstoria, tecniche e protagonisti , volume edito da Giunti (euro 39) e uscito l’anno scorso, di ottima qualità visiva e che riesce a raccontare di un’arte contemporanea in modo dettagliato, fornendo qualcosa che da noi fondamentalmente mancava, cioè un buon libro di riferimento – magari non per gli specialisti, sicuramente per i non addetti ai lavori. Ed è proprio a partire da questa efficacia per così dire «divulgativa» che un libro del genere può essere utile più di altri per fare il punto della situazione nelle sue interpretazioni storiche, suggestioni teoriche, implicazioni antropologiche. La Street Art e il quadro storico Come sempre, in tutte le manifestazioni culturali, è possibile provare a studiare l’oggetto d’interesse attraverso la storia: l’arte, in questo, non fa eccezione. Quindi, anche, la Street Art. Ma c’è storia e storia per arte e arte. E nel nostro caso l’aspetto interessante che sembra emergere, leggendo il libro di Dogheria, sembra essere nel dove e nel come l’autore ritrovi la storia di quest’arte. Soffermiamoci sul dove. Dogheria individua nei siti rupestri e quindi nei «graffiti» preistorici le prime possibili tracce, secondo un principio, per così dire, di diffusione, che mostra la presenza di soggetti e tecniche simili non solo in Europa ma anche in Africa, Asia, Sud America, e questo primo legame – se mai ci fossero dubbi «filologici» in merito – può essere rinforzato, come lo stesso autore suggerisce, dal modo in cui artisti importanti della Street Art (per esempio Bansky) si sono appropriati di tale immaginario in alcune delle loro «operazioni». A questa premessa l’autore fa poi seguire un excursus storico attraverso cui sembra possibile ritrovare ancora altre tracce ma questa volta nell’ambito degli affreschi polimaterici medievali e in alcuni esempi successivi, fino al primo grande e definito antecedente storico, e cioè «il muralismo internazionale sviluppatosi in America Latina e in Europa nel corso degli anni Venti e soprattutto Trenta: un muralismo destinato a luoghi pubblici che, pur se su fronti politici opposti – dal Messico rivoluzionario all’Italia fascista -, risulta sempre profondamente connaturato a un’idea di civiltà, con finalità didattiche che non di rado sconfinano nell’autocelebrazione.» Da qui, invece, si può provare a fare il punto sul come. A differenza di altre forme di arte la cui genealogia storica fondamentale è giocoforza localizzata in questo o quel luogo, questa o quell’area, questo o quel preciso momento temporale, la Street Art prima della Street Art sembra invece configurarsi come una storia di immagini in cui molte caratteristiche non risultano lontane, in fondo, da quelle alla base della «teoria dell’immagine» di uno studioso come il tedesco Aby Warburg – su tutte, si pensi alla molteplicità di centri di origine di produzione e alla loro sincronia produttiva (una variazione della teoria del Kulturkreis ) e alla idea di sopravvivenza di determinati motivi visivi in contesti geografici diversi (un rimando alla teoria della sopravvivenza culturale). Come a dire: un’arte la cui genesi attraversa più quadri storici. La Street Art e i limiti del quadro Si sa, l’arte figurativa ci ha messo secoli «per mettersi in quadro», e diciamo che solo in tempi relativamente recenti la teoria ha iniziato a occuparsi di tale questione andando in profondità (aggiungiamo: in senso riflessivo e in modo sistematico). Si può partire da qui per soffermarsi sul contributo che la Street Art potrebbe offrire in merito, attraverso una suggestione o ipotesi tra le righe, considerando quanto Dogheria racconta. Ora, a una prima parte dedicata alla storia – dopo il muralismo, l’autore spiega come gli altri antecedenti storici importanti che si sono sviluppati in seguito siano il writing e il graffitismo – segue una seconda dedicata a determinate tecniche e ai loro relativi protagonisti. Focalizziamo l’attenzione sulle tecniche. Qui leggiamo dello stencil, che «è un po’ l’emblema della complessità della Street Art e, allo stesso tempo, della sua estrema versatilità», alla maniera di «un pendolo», che «è in grado di alternare serialità e unicità» e il cui «utilizzo è da sempre legato a un’idea di arte moltiplicata squisitamente low-tech». Leggiamo poi dello sticker, forma «all’opposto del gigantismo del murales» che «per quanto di minuscole dimensioni (…) possiede un linguaggio propriamente autonomo, nonché una discreta ricchezza di soluzioni tecnico-formali che vanno dall’esemplare realizzato a mano su carta adesiva fino a quello vinilico». C’è poi il poster, «caratterizzato da una notevole complessità tecnico-formale» e dove «troviamo una gran varietà di soluzioni, dai manifesti tipografici a quelli serigrafici, realizzati artigianalmente in un buon numero di copie, fino a quelli in esemplare unico, talvolta di dimensioni così grandi da ricoprire le facciate di interi palazzi». Ma leggiamo anche del murales, forse l’«emblema stesso della Street Art», «con carattere di unicità» e «un alto grado di spettacolarità, dovuto principalmente alla vertigine delle sue dimensioni, così come alla precisione del segno nonostante tali dimensioni». E infine l’autore racconta della Urban Art, che si potrebbe definire come «tutto ciò che si discosta dalle categorie sopracitate», considerando però l’installazione urbana «in parte limitante, perché esclude le azioni performative, presenti anch’esse nel mare magnum della Street Art.» Ora, l’ipotesi in mente potrebbe essere la seguente: perché non considerare, in fondo, la Street Art come una sorta di variazione contemporanea della tradizione dell’arte ornamentale? La potenzialità di estensione degli interventi e delle immagini, l’azione diretta su tutti gli spazi, la relazione contigua con la realtà circostante… non sono forse alcune delle caratteristiche, derivabili da quanto riportato, proprie di una tradizione come quella menzionata? La Street Art nel quadro della società Parlare di Street Art come arte ornamentale di oggi significa giocoforza parlare di alcune possibili implicazioni antropologiche. Qui, al di là del racconto del fiorire contemporaneo di festival e di spazi nel web dedicati, una delle due questioni all’ordine del giorno è sicuramente l’opposizione di molti artisti a «musealizzare» la propria arte, perché irriducibilmente legata al contesto urbano, così che «l’unica via possibile parrebbe quindi quella dell’agire su più livelli, dentro e fuori il museo, aprendosi alla citta cosi come alla produzione grafico-pittorica degli artisti, che costituisce il naturale complemento del lavoro in strada, guardando all’oggi ma anche alle sue premesse storiche». La seconda questione è, come anticipato, la relazione tra legalità-illegalità della Street Art. Qualcosa di noto, qualcosa che – piaccia o meno – arricchisce di un tono politico le immagini di questi artisti.
ARTICOLO DI GIANLUCA PULSONI DEL 23 GENNAIO 2016, IL MANIFESTO
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