TORINO
KARIM Cherif, 31 anni, è l’artista che, in collaborazione con Acmos, ha dipinto le panchine rosse diventate il simbolo torinese della lotta contro la violenza sulle donne.
Cosa pensa di quello che è successo? «Chi ha distrutto la panchina ha completato l’opera. Così il messaggio è ancora più forte e ha dato forma alla violenza che quelle panchine vogliono combattere. All’autore spetterebbe la sua parte di gloria. Ovviamente sono ironico».
Secondo lei i responsabili hanno voluto colpire proprio il messaggio lanciato dalle sue panchine? «E’ possibile, ma potrebbe essere semplice vandalismo oppure esserci dell’altro. Da quando si sono diffuse queste panchine sono spesso state il veicolo di discussioni e polemiche su questioni che non c’entrano niente con la violenza sulle donne come i graffiti o la politica. E non mi stupirebbe che il gesto non c’entrasse nulla col messaggio delle opere. Se non altro posso dire a chi mi considera un vandalo che la mia opera è stata vandalizzata».
E se fosse proprio il messaggio contro la violenza ad aver scatenato quella reazione? «Vuol dire che le panchine hanno raggiunto uno dei loro obiettivi: far riflettere e parlare di un tema importante».
Quindi non se l’è presa? «No, sono una persona pacifica e poi non saprei con chi prendermela. Sono più interessato a capire cosa ha spinto queste persone ad agire così. Mi piacerebbe avere l’occasione di parlare con loro per capire».
Il progetto proseguirà? «Sì, credo nel valore educativo dell’iniziativa e penso che i graffiti si prestino bene a questi temi sociali perché hanno impatto trasversale sulla gente. Ripareremo la panchina, ci vuole un attimo».
ARTICOLO DEL 1 FEBBRAIO 2016, LA REPUBBLICA
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