TORINO
Vittorio Sgarbi stasera lei sarà al Colosseo per lo spettacolo «Caravaggio». Su La Stampa di ieri abbiamo parlato dello scultore Bruno Martinazzi, che sostiene che i graffiti sulla sua opera «Frater tuus», in lungo Po Antonelli, hanno aggiunto arte all’arte, ringiovanendo la sua opera. Lei cosa ne pensa? «Non conosco la scultura di Bruno Martinazzi, ma sono d’accordo con lui. I graffiti sono opere d’arte, con la peculiarità che gli autori li hanno realizzati di nascosto e in maniera abusiva. Sono un segno di trasgressione». Andrebbero legalizzati? «Assolutamente sì. Io sono stato uno dei primi sostenitori dei graffiti. Quando ero assessore a Milano, nel 2007, ho inaugurato per la prima volta al Pac (Padiglione d’Arte Contemporanea) “Street art, sweet art”: una mostra sull’arte di strada italiana e soprattutto milanese. In consiglio comunale provato a rendere legale questa forma d’arte, poi me ne sono andato». Cosa le piace dei writers? «Loro dipingono con le bombolette spray con un’ispirazione che è legata al senso di libertà. Raccontano la propria storia, la società, se stessi. Sono persone che hanno spesso studiato all’Accademia, mica vandali. Quelli che apprezzo di più Atomo e Bros, ad esempio». Ha una buona parola anche per i «tags», le scritte o sigle fatte per lasciare il segno del proprio passaggio, di cui è piena l’opera di Martinazzi? «No, quelli non hanno nessun senso, sono inutili». Ci sono graffiti e graffiti. Alcuni possono essere uno sfregio di protesta verso una persona o un istituzione, possono rovinare un monumento storico.. «Tutto quello che è stato costruito in Italia dopo il 1960 ci può soltanto guadagnare ad essere “ripassato” dai writers. Le città sono piene di “casermoni” ed edifici con architetture e design per niente geniali. Renzo Piano ha fatto qualcosa, ma sul vetro tanto i graffitari no passano. Quando questi ragazzi ridipingono strutture fatiscenti o abbandonate, il degrado si trasforma in una grande festa, e in certi casi assomigliano addirittura ai murales messicani». Tutto ciò che risale a prima del 1960 è quindi da tutelare? «Palazzo Madama, come le altre costruzioni del 500 o 600 non vanno toccate. Sarebbe con un taglio di Fontana su una tela di Caravaggio». Questa sera, dopo alcuni anni di assenza dalla città, sarà al Teatro Colosseo per parlare di Caravaggio. Sono opere che fotografano la realtà di oggi? «Caravaggio ha inventato la fotografia: dipingeva quello che vedeva. La bellezza dei suoi quadri è proprio questa: una realtà vera e non idealista. Non sono stati il Settecento o l’Ottocento a capire Caravaggio, ma il nostro Novecento. Lui è stato riscoperto in un’epoca fortemente improntata ai valori della realtà, del popolo, della lotta di classe. Ogni secolo sceglie i propri artisti. Nessuno è più vicino a noi, alle nostre paure, ai nostri stupori, alle nostre emozioni, di quanto non sia Caravaggio. La sua arte diventa vita, non è distaccata dalle idee». Come Pasolini? «I volti di Caravaggio sono “I ragazzi di vita” di Pasolini. Il fanciullo con il canestro di frutta è Ninetto Davoli, quello di Amor omnia vincit è identico a Pelosi. In entrambi l’esistenza passa per un abisso che non santifica. Pasolini è la figura attraverso cui il ’900 diventa il secolo che può capire davvero Caravaggio».
ARTICOLO DI CRISTINA INSALACO DEL 3 FEBBRAIO 2016, LA STAMPA
Mirco Brambilla
5 febbraio 2016 at 06:48
«Tutto quello che è stato costruito in Italia dopo il 1960 ci può soltanto guadagnare ad essere “ripassato” dai writers. Le città sono piene di “casermoni” ed edifici con architetture e design per niente geniali.
MA BENE, BRAVO 7+ vada a dirlo a chi ci vive nei casermoni deturpati, che nessuno ripulisce perché soldi non ce ne sono.
Vada a farsi un bel giro nella Milano dei palazzi costruiti dopo gli anni 60, quella della povera gente che vive in aree massacrate dall’imbecillaggine di bombolettari vandali.
Vada, vada… e se dovessimo qui rispondere imitando la sua tristemente nota eleganza verbale, potremmo aggiungere ciò che in molti pensano delle sue furbe, sgradevoli e pericolose “pontificazioni”.
E’ come se lei incontrando una persona che zoppica con dolore per una gamba ammalata si divertisse a mollargli un gran calcione all’altra gamba, così tanto per divertirsi un po’ e per mostrare quanto estroverso e creativo può essere un CRITICO D’ARTE.
Tanto nei casermoni ci viviamo noi gente semplice, ha presente quella che lavora sodo per arrivare alla fine del mese, quella che lavora anche con le mani e ritorna a casa sfiancata di stanchezza, ma orgogliosa della sua onestà e del suo operato. E ama molto le sue case casermone perché non ha altro.
Peccato che poi ci sia gente come lei che con l’uso sola lingua: sentenzia l’inutilità del diritto al decoro dei quartieri dove viviamo con fatica e dove crescono i nostri figli. Ragazzini ai quali cerchiamo con impegno e fatica di insegnare il valore della legalità, del rispetto, della ricerca del bello, a prescindere dalla violenza estetica che subiamo tutti.
La bellezza e il pulito sono un bene comune, un diritto dovere da gente per bene.
Ha presente la gente per bene? Sono quegli strani esseri che si adeguano alle regole, non insultano nessuno, pagano le tasse ecc. ecc. in somma sono quella massa banale che la osserva e si chiede: ma a che prò dice quello che dice?
Mha …sicuramente avrà un suo tornaconto, che non è certo per il bene comune.
Mirco Brambilla
5 febbraio 2016 at 08:29
Noooo… il Corriere della sera lo leggo solo dopo le otto e questo commento l’ho già messo qua.
E perfetto, ma lo dico perché si sappia che è stato scritto prima di sapere che questo signore ritiene di avere anche la capacità di governare una comunità di cittadini importante com’è Milano.
SGARBI SI RICANDIDA PER FARE IL SINDACO DI MILANO…ci aveva già provato…poi era diventato il contestato assessore alla cultura della Moratti…e io evito altri commenti! Vado a lavorare che è meglio!
Marco Mercuri
5 febbraio 2016 at 10:20
Eccola la risposta …alla tua domanda: a che prò?
Si candida e i voti dei centri sociali e degli street artist amici..hanno un peso notevole.
Ha ha ha ha …
Pensa al quel “bene comune” di cui tu parlavi Mirco.