“Quei graffiti sui muri della città sono anche opere d’arte”

Dopo la scelta di fare cancellare quelli ai Murazzi, è dibattito

TORINO

UNA portentosa macchina acchiappasgorbi, una lancia idrodinamica capace di far morire d’invidia lo zaino protonico manovrato da Bill Murray in Ghostbusters, ha dato inizio, per volontà del Comune, alla guerra ai graffiti che deturpano la città. L’operazione si è svolta alla presenza del sindaco. L’iniziativa è lodevole, perché è accompagnata dalla acuta e dichiarata volontà di distinguere fra vandalismo e arte. Lunga vita alla street art, dunque, che nobilita la città. Evviva, mormoriamo. Il getto rotante sarà indirizzato soltanto sugli sfregi, su ciò che sfigura e oltraggia muri e palazzi e più in generale la parte visibile, comune e verticale della città. Ben venga, ci viene da sussurrare.

E CI torna in mente il lavoro, promosso dal Comune e dal Comitato Urban Barriera, svolto dallo street artist Millo sulle facciate cieche di alcuni palazzi di Barriera di Milano. Ma la nostra gioia dura poco, perché di colpo notiamo che le operazioni di ripulitura sono cominciate dai Murazzi. E un dubbio ci assale: ma quale criterio è stato adottato per distinguere tra un rozzo graffito e l’opera di un writer? Eppure siamo sicuri che debba per forza essere stata individuata una linea precisa oltre la quale un segno arbitrario lasciato su una superficie pubblica transita dalla definizione di rude sfogo privato a quella di opera (sublime, provocatoria o urtante che sia) dell’intelletto, data la volontà del Comune di separare il grano dal loglio. Ma se i muri dei Murazzi, per dirla in bisticcio, sono stati considerati loglio a priori, ovvero degrado bello e buono, allora c’è qualcosa che ci sfugge.

E quindi viene voglia a noi di definire quella benedetta linea di demarcazione, a costo di scomodare Banksy, che di nascosto e senza clamori regala intelligenza critica e grazia visiva operando nell’ombra su anonimi o sussiegosi muri urbani, su sonnolenti esterni non deputati alla street art. Ed è pur vero che nel 2014 le autorità di Clacton-on-Sea, nell’Essex, hanno cancellato un suo graffito raffigurante 5 piccioni muniti di cartelli ostili a un uccello migratore, ma forse quella rimozione aveva ragioni diverse da quelle di cui stiamo parlando… Per tornare a noi ci viene da pensare che un esercizio grafico su pubbliche superfici si nobilita ad arte quando quel lavoro non riguarda solo chi lo ha eseguito, ma tocca, cattura, attira, o emoziona anche chi guarda. Così come una autobiografia diventa opera letteraria quando i fatti narrati coinvolgono il lettore, esigono la sua attenzione, ne pretendono la partecipazione emotiva in virtù dello stile usato o per la potente e universale qualità dei fatti narrati.

Nel caso dei graffiti urbani la linea oltre la quale si può parlare di arte dovrebbe essere quella che tocca almeno i seguenti punti: 1)l’opera, osservata con sguardo attento e libero,, ha uno stile che costringe a guardare, partecipare; 2)l’opera nasce su un muro che sembra reclamare oggetti d’arte come fosse nato con la vocazione a superficie per writer (e i basta appena un bruscolo di intuizione e buon senso per classificare quel muro fra i vocati o meno); 3) l’opera appare sulla superficie neutra di uno spazio urbano che attira energia visiva, sia esso un crocevia ad alta densità umana, un muro a elevato potenziale simbolico o solo un frammento architettonico visibile da migliaia di passanti. E se i graffiti dei Murazzi possedessero in buona parte non uno, ma tutti questi requisiti?

ARTICOLO DI MASSIMO TALLONE DEL 27 FEBBRAIO 2016, LA REPUBBLICA

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