Il writer : no alla mostra cancello i miei graffiti
BOLOGNA
I resti polverosi di quel che fu il capolavoro di Blu riposano in un sacco del pattume. «Mandiamo questi alla mostra?». «No che magari lo ricompongono».
L’auto-iconoclastia del più celebre graffitista italiano, l’ex ragazzo di Senigallia che il Guardian classificò fra i dieci migliori artisti di strada del mondo, si conclude a mezzogiorno, mentre la Banda Roncati attacca Volare per un blu che non è più dipinto da Blu.
La rivincita è compiuta. Nel corso di una notte e una mattina frenetiche di vernici e scalpelli, con un’operazione quasi militare, una cinquantina di militanti dei centri sociali organizzati dal Banksy italiano ha cancellato una decina dei suoi celebri graffiti, vent’anni di lavoro, dai muri di Bologna, dove una potente istituzione culturale privata, Genus Bononiae, sostenuta dalla fondazione Carisbo e guidata dall’ex rettore Fabio Roversi Monaco, nei mesi scorsi ha staccato dai muri le opere dei writer più quotati per esibirle in una grande mostra sulla street art che inaugurerà giovedì nell’austero storico Palazzo Pepoli.
Blu è lì, davanti al muro ormai grigio dell’ex macello, oggi centro sociale occupato XM24, dove fino a poco prima campeggiava la sua cappella sistina, una visione onirica di battaglia di piazza; mascherina antipolvere e cappuccio calato sulla fronte, pochi lo riconoscono, (forse) sorride: grazie ma niente dichiarazioni, come suo stile. Parlano per lui i suoi amici del collettivo di scrittura Wu Ming, che alle dieci diffondono la notizia su loro blog Giap (raccogliendo contatti da tutto il mondo): «La mostra Street Art è il simbolo di una concezione della città basata sulla trasformazione della vita e della creatività di tutti a vantaggio di pochi. Sdogana l’accaparramento dei disegni degli street artist, con gran gioia dei collezionisti senza scrupoli e dei commercianti. Non restava allora che fare sparire i disegni».
Aveva fatto la stessa cosa, Blu, a Berlino, anni fa, quando una ristrutturazione edilizia residenziale per ceti benestanti a Kreuzberg voleva includere come un fiore all’occhiello un suo murale.
Ora, chi vuol vedere le sue opere (non tutte “illegali”, per la verità) dovrà andare a Città del Messico, a New York, in Palestina, a Vienna, Milano, Praga, Roma.
Oppure a Bologna, sì, ma nella mostra che, appunto, ne ha “strappati” e ne espone tre, senza il suo consenso, naturalmente «per salvarli» dal degrado e dagli abbattimenti (eventualità che però molti graffitisti contemplano come parte della vita dell’opera). Gli accusati di accaparramento non si scompongono troppo. «Prima gli artisti dipingevano i muri e le istituzioni li coprivano, ora gli artisti cancellano e le istituzioni salvano», ironizza Christian Omodeo, uno dei curatori della mostra contestata, e contrattacca: «Se loro stessi si definiscono artisti, sapranno che l’arte ha le sue regole. Il museo ha il dovere di sollevare il problema della permanenza di queste opere nella storia, e l’artista non è l’unico ad avere il diritto di decidere sul futurio del proprio lavoro».
Nelle scorse settimane la polemica bolognese sull’appropriazione dell’arte di strada sembrava ormai vinta dal potere museale, con qualche isolata reazione di stizza degli artisti; ed anche da quello giudiziario, con la condanna a 800 euro per «imbrattamento» di AliCè, al secolo Alice Pasquini, autrice di splendidi ritratti femminili su muri e pensiline del bus. Ora, fra il dolente entusiasmo degli antagonisti («cancello, ma con la morte nel cuore…»), la partita si riapre. E il sindaco Virginio Merola sembra dare ragione all’artista auto-immolato: «Spero che Blu possa di nuovo dipingere a Bologna con la garanzia che le sue opere non saranno usate a fini commerciali».
La rivolta del writer “Via i miei graffiti non finirò al museo”
Blu distrugge tutte le sue opere sui muri in città Sfida alla mostra sulla “street art” di Roversi Monaco
QUELLO con la mascherina antipolvere, il cappuccio calato, i pantaloni marmorizzati di pittura, è Blu, primula rossa degli intonaci. Ma quasi nessuno lo riconosce, del resto, chi lo ha mai visto in faccia? Per quel che si può vedere non sembra affranto, anzi quasi sollevato, dall’idea di avere appena distrutto vent’anni del suo lavoro a Bologna, la città che lo ha lanciato come street artist di fama internazionale. No, niente dichiarazioni, declina (forse) sorridendo l’anonimo di Senigallia che nel 2011 il Guardian classificò fra i dieci migliori artisti di strada del pianeta. Per lui parlano i Wu Ming, i suoi amici scrittori collettivi.
NON ci vanno leggeri: «La mostra Street Art è il simbolo di una concezione della città basata sull’accumulazione privata e sulla trasformazione della vita e della creatività di tutti a vantaggio di pochi. Di fronte alla tracotanza da governatore coloniale di chi si sente libero di prendere perfino i disegni dai muri, non resta che fare sparire i disegni».
In tanti aspettavano la risposta di Blu alla mostra di Genus Bononiae che inaugurerà venerdì prossimo a Palazzo Pepoli, dove alcune delle sue opere, contro la sua volontà, saranno esposte dopo essere state staccate dai muri a cui appartenevano. È arrivata, e ha fatto il botto. Davanti a un portatile, i Wu Ming spiano i contatti Internet al loro blog Giap che alle 10 di ieri mattina ha dato per primo la notizia: da San Francisco a Johannesburg a Singapore.
È stata pianificata come una vera e propria operazione militare incruenta, rulli pennellesse e scalpelli come armi. Una cinquantina di militanti dei centri sociali XM24, Crash e Bartleby, ben disposti in campo, hanno aggredito simultaneamente, dal cuore della notte alla mattina, una decina di murali dipinti da Blu, dall’uomo a braccia aperte che tutti i bolognesi avranno visto almeno una volta passando nel sottopasso di via Stalingrado a quello più complesso e forse più famoso, la gigantesca onirica battaglia urbana affrescata su un muro dell’ex macello comunale di via Fioravanti.
Ma gli iconoclasti antagonisti lavorano con lo sconcerto nel cuore: «Mi sento male a cancellare una cosa così». Tutti fotografano, una tempesta Instagram.
Qualcuno di nascosto stacca un pezzettino di muro e lo infila in tasca, come a Berlino nell’89. Un vigile urbano simpatico chiede che cosa sta succedendo, «il Comune vuole sapere, questa è una proprietà pubblica». A tre militanti di Crash è andata peggio: mentre cancellavano, quasi piangendo, il murale della loro ex sede di via Zanardi è arrivata una volante: denunciati per imbrattamento, «ma ti rendi conto, se scriviamo sui muri ci denunciano, se cancelliamo le scritte ci denunciano, non hanno mica le idee chiare…». La banda Roncati suona una musica da funerale per il graffito che finisce in polvere. «Spero che Blu, in futuro, possa di nuovo dipingere per Bologna avendo la garanzia che le sue opere non saranno mai usate con fini commerciali», si augura a tempo scaduto il sindaco Virginio Merola. In Rete, tanti cercano spiegazioni di prima mano su fasulli account social (Blu non usa Facebook), nei commenti emozioni divise fra hashtag eccitati tipo #vivablu e sconcerto tipo «ma come, erano lì anche per noi». «E lo restano», spiega Wu Ming 1, «sono tutti fotografati, anche ad alta definizione. Anzi, solo così non se li prende nessuno».
Il nemico dichiarato è l’eterno bersaglio di tutti i movimenti bolognesi: l’ex rettore Fabio Roversi Monaco, ideatore della mostra. Che «sdogana e imbelletta l’accaparramento dei disegni degli street artist. Non stupisce che sia l’amico del centrodestra e del centrosinistra a pretendere di ricomporre le contraddizioni di una città che da un lato criminalizza i graffiti, processa writer sedicenni, invoca il decoro urbano, mentre dall’altra si autocelebra come culla della street art». Questo scrivono i Wu Ming, ma a sorpresa lo dice anche un assessore comunale, Matteo Lepore: «Musealizzare la creatività nel presente non è la scelta giusta per la nostra città».
Ora la Banda Roncati suona Volare, ma il blu non è più dipinto da Blu. La parete dell’ex macello è ormai irriconoscibile. I calcinacci di quella che fu la Cappella Sistina di Blu vengono spazzati dentro un saccone del pattume. Qualcuno propone «potremmo dare questo, alla mostra», «no, sarebbero capaci di ricostruirlo». «Un clamoroso autogol di Blu» commenta in tempo reale la rivista Artribune. Alcune settimane fa, quando si diffuse la notizia che una squadra di tecnici stava “strappando” i graffiti più belli dai muri degli edifici sui quali erano stati (abusivamente, è ovvio) affrescati, esplose la polemica sulla legittimità giuridica e morale dell’operazione che trasforma in arte da museo l’arte di strada, nata in conflitto con il sistema dell’arte e con i poteri che gestiscono l’immagine urbana. La motivazione ufficiale: salvarli dal deperimento e dalle demolizioni. Ma il degrado e la demolizione sono, per molti artisti di strada, messi in conto come parte della vita stessa dell’opera. Questa sfida sulla street art, fino a due sere fa sembrava vinta dal potere museale, a cui si contrapponevano solo isolati gesti di rabbia, come il topo disegnato e messo in linea da un altro graffitista, Ericailcane, con la didascalia «Zona derattizzata.
Area bonificata da sequestratori impuniti dell’altrui opera di intelletto». E anche dal potere giuridico, che in gennaio ha condannato AliCè, al secolo Alice Pasquini, a 800 euro di multa per aver «imbrattato» con i suoi splendidi volti di donna alcuni muri già degradati della città. Ora il risultato cambia. Come finirà la partita? Intanto, la vernice grigia ha ricoperto la parete come un mare di nebbia. Solo un piccolo squarcio mostra ancora la figura di un edificio su cui sventola una bandiera. Dicono che rappresenti Atlantide, l’ultimo centro sociale occupato sgomberato a Bologna.
ARTICOLI DI MICHELE SMARGIASSI
“Atto d’egoismo fa un dispetto a tutta la città”
BOLOGNA
«Quello di Blu mi sembra un atto egocentrico ed egoista. Quando un artista realizza un’opera poi non è più sua, diventa della città».
Monica Cuoghi è la madre di “Pea Brain”, l’ochetta dalle lunghe zampe che iniziò a passeggiare sui muri di Bologna negli anni ’80. Nel 2004 l’allora candidato sindaco Sergio Cofferati la chiamò – insieme al compagno Claudio Corsello – a decorare la sede del suo comitato elettorale. Lei e Corsello saranno tra i pochi writer bolognesi ad esporre nella mostra contestata dall’artista Blu.
Cuoghi, cosa ne pensa del suo gesto di protesta? «È un atto di protagonismo: è come dire i graffiti sono miei e li distruggo quando voglio. Lui l’ha fatto per fare un dispetto a Roversi, ma ha finito per fare danno alla città. Il paradosso è che alla fine gli unici lavori di Blu rimasti a Bologna saranno nel museo che ha voluto boicottare». Voi cosa esporrete? «Faremo un’installazione. Avevano chiesto anche a noi il permesso di strappare un’oca dal muro, ma gli abbiamo detto di no. I murales di Blu però sono un caso diverso, perché sarebbero stati distrutti, erano in una fabbrica che stava per essere abbattuta». Quale sarà il vostro compenso? «Ci pagheranno 2.500 euro a testa come gli altri bolognesi in mostra, Dado e Rusty».
C. GIUS.
LETTERE, COMMENTI E IDEE
L’amaca
SUCCEDE che una fondazione privata fa una cosa un po’ stupida, un po’ arrogante: stacca dai muri di Bologna un po’ di murales per organizzare una grande mostra sui murales. Che è un po’ come fare una mostra sulle Dolomiti staccando un po’ di Cime di Lavaredo e mettendole in una bella sala riscaldata. Allora succede che Blu, il più bravo muralista (writer non mi piace) del posto, e uno dei più bravi del mondo, per rappresaglia decide di cancellare i suoi dipinti dalle strade, con l’aiuto dei ragazzi di un paio di centri sociali, in modo da essere sicuro che nessuno possa usarli per scopi differenti da quello originario: dipingere in strada. Infine succede che il presidente del comitato di quartiere Navile fa presente che l’unico a rimetterci, alla fine della storia, è il quartiere. È la gente comune che ormai considerava sue quelle opere; le aveva prima accettate; poi difese; e ora sarà costretta a farne senza.
Io sto con il presidente del quartiere Navile. Capisco Blu, capisco tutti gli artisti (siano cantanti, scrittori, teatranti, pittori) che si impennano e svicolano di fronte al potere così greve, così snaturante del mercato. Le avanguardie, si sa, sono avanguardie. Quelle politiche come quelle artistiche.
Hanno da pensare alle loro cose. Una reputazione da difendere. Ma il risultato, per dirla come la direi se frequentassi i centri sociali, va in culo al popolo. Che resta solo, a cose fatte, a chiedersi chi diavolo si è portato via quel bel dipinto, lasciando solo il brutto muro al quale è abituato.
MICHELE SERRA
In 3000 con stracci e scope la carica degli spazzini fai da te
ROMA
Tremila volontari, quattro piazze, cinquemila raschietti e dieci tonnellate di rifiuti. Sono i numeri dell’iniziativa “Wake Up Roma”, la grande giornata per il decoro organizzata ieri che ha unito i gruppi di retaker della capitale. MONACO A PAGINA VII «PAPÀ, anche io voglio pulire». Cesare, sette anni appena, sgrana gli occhi alla vista dell’esercito di pettorine bianche al lavoro dentro Villa Paganini, gioiello restituito alla sua bellezza. La richiesta del bambino riassume lo spirito che ieri ha animato “Wakeup Roma”: la giornata per il decoro organizzata dalla startup Luiss Enlabs e Retake Roma è stata un successo. Tremila persone hanno tirato a lucido contemporaneamente piazza di Porta Maggiore, piazza Vittorio Emanuele II, Villa Paganini e piazza Anco Marzio, a Ostia. Alle 13, quando si è conclusa la pulizia, erano state rimosse oltre 10 tonnellate di rifiuti. «Abbiamo dimostrato ai nostri concittadini, alla politica, che Roma è piena di energie e può veramente essere un brand vincente», dice Luigi Capello, fondatore di Luiss Enlabs. L’operazione è stata possibile grazie ai 50 sponsor che hanno aderito all’evento: da Wind a Federalberghi. Confcommercio ha donato 5mila raschietti, Eataly le bottiglie d’acqua per dissetare i partecipanti. Decisivi anche i contributi di Ama e Acea. Non è mancata la contestazione dei collettivi di sinistra a Porta Maggiore. «Il vero degrado è il lavoro gratuito», hanno gridato i militanti della Carovana delle periferie mentre distribuivano i loro volantini, senza però interrompere le operazioni di sfalcio dell’erba, pulizia delle panchine lungo i binari del tram, rimozione degli adesivi dai pali della luce e di cancellazione delle scritte sui muri.
Gli interventi in ogni piazza sono stati coordinati dagli organizzatori che hanno suddiviso i partecipanti in squadre da 20 persone, ciascuna con una mansione prestabilita. Nel kit del retaker, guanti, solvente e raschietto. Per alleviare la fatica, spettacoli e visite guidate. A Villa Paganini l’orchestra di Edoardo Vianello. www.retakeroma.org www.roma.repubblica.it PER SAPERNE DI PIÙ
“Per un’americana a Roma il segreto è fare bene e presto”
REBECCA Spitzmiller, docente di Diritto comparato all’Università Roma Tre e cofondatrice di Retake, ha lavorato sei mesi per organizzare la più grande giornata di pulizia partecipata nella storia del movimento. Come è nata l’idea di WakeupRoma? «È una piccola follia. A giugno scorso eravamo a un evento di Luiss Enlabs ed è nata l’idea di fare qualcosa insieme. Concretamente però abbiamo iniziato a lavorarci da ottobre: senza di loro non saremmo mai riusciti a raccogliere 50 sponsor. Allo stesso evento c’era anche Carlo Verdone, testimonial per la giornata di ieri».
Avete portato 3mila persone in piazza. Ci voleva un’americana per scuotere Roma? «Sono cresciuta con la campagna Keep America beautiful, fa parte della mia cultura. E anche se vivo a Roma da tanti anni mi è venuto spontaneo iniziare a mobilitarmi per cambiare le cose nel mio piccolo».
Al primo retake, nel 2009, eravate 50. Quale è stato il segreto per una crescita così massiccia del movimento? «Internet e i gruppi di zona. Il segreto è fare qualcosa nell’immediato, sotto casa propria».
“Nove ore in bus da Varese per ripulire la mia Capitale”
ANUELE Mariani, assistente fotografo di 30 anni, si è sobbarcato 9 ore di viaggio in autobus da Varese per partecipare alla più grande pulizia collettiva mai organizzata in Italia.
Cosa l’ha spinta a mettersi in viaggio? «Io sono un retaker. Amo Roma, ma trovo che questa città sia abbandonata a se stessa. La giornata era l’occasione giusta per riaccendere la speranza di un cambiamento. Non potevo mancare».
La problematica che più l’ha colpita? «Gli adesivi, sono ovunque. Non ho mai visto una cosa simile. Inquinano anche visivamente e creano un danno d’immagine che la città più bella del mondo non può più accettare. Basterebbe cospargere i pali della luce con le vernici granulose per impedire agli incivili di incollarli ovunque. È un metodo collaudato, lo adottano persino in Argentina».
L’emozione più intensa della giornata? «La grande partecipazione popolare. Vedere tanti romani che finalmente si sono rimboccati le maniche e hanno speso del tempo per ripulire i luoghi che abitano è stato bellissimo. Ora bisogna continuare su questa strada. Da milanese vorrei che la capitale del mio Paese tornasse a essere la città da cartolina che il mondo da sempre ci invidia».
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