BLU e le conseguenze del suo gesto, articoli del 17 e 18 Marzo

CASO DELLO STREET ARTIST BLU (BOLOGNA)

I writer ribelli contro “Street Art” il Megamuro sfida la mostra

FIGHT

OGGI l’inaugurazione della contestata mostra Street Art al Museo della città, mentre per tutta risposta 45 writers hanno creato un nuovo museo “nella” città. Il “mega-muro” da 16 mila metri quadri è nell’ex Zincaturificio di via Stalingrado 63 e raccoglie opere realizzate negli ultimi 20 giorni «per mostrare senza biglietto gli aspetti non contraffatti dell’arte in strada». Andrà a fotografare le opere l’ex preside di Medicina, Maria Paola Landini. Intanto la presidente del quartiere Savena solleva il problema del murales cancellato «che era stato pagato dal Quartiere». Wu Ming 1: «Ridicolo». (segue a pag III)

(pag III) OGGI l’inaugurazione della contestata mostra Street Art, mentre in città infuriano le polemiche e si moltiplicano le iniziative dopo il gesto di Blu che ha cancellato i suoi murales per protesta.

Nello stesso momento in cui a Palazzo Pepoli Museo della città verrà presentata l’esposizione, si inaugurerà anche un’altra mostra di graffiti. Questa però è in un «museo nella città che vorrà far vedere a tutti gli aspetti non contraffatti dell’arte in strada».

Il contesto è molto meno patinato, si tratta di una fabbrica dismessa in via Stalingrado 63, dove 45 artisti italiani e internazionali da 20 giorni stanno dipingendo i muri rispondendo alla chiamata dell’associazione Serendippo, nell’ambito del progetto “Rusco. Recupero urbano spazi comuni”. Sono circa 16mila metri quadri dipinti, «destinati ad avere vita finita così com’è nella natura stessa di questa forma d’arte», poichè i muri, di proprietà di Rinaldo Nannetti, che è stato avvertito dell’iniziativa e ha dato il consenso, verranno demoliti. L’artista Exit Enter, autore di disegni sul “contro-muro”, spiega il suo impegno così: «La mostra Street Art, che ospita graffiti strappati dai muri, ha trasformato l’arte di strada gratis per tutti in arte a pagamento per pochi. Hanno voluto snaturare questa forma di espressione. In queste settimane vari artisti si sono riuniti per dipingere in collettività uniti dall’idea che l’arte di strada deve essere gratis e fruibile per tutti».

La street art vive nelle contraddizioni e così questo nuovo museo en plein air, uno dei più grandi musei di street art mai realizzati secondo gli organizzatori, non è propriamente aperto al pubblico. «Chi entra lo fa a suo rischio e pericolo perché non ci sono condizioni di agibilità e sicurezza – spiegano le organizzatrici di Serendippo, Etta e Barbara – ma le opere si vedono anche da fuori e comunque i muri saranno visibili in uno spazio virtuale, grazie al team Humareels». L’arte di strada ha insospettabili estimatori, come il dibattito nato in città ha evidenziato. La professoressa Maria Paola Landini, microbiologa già preside della Facoltà di Medicina, ha realizzato un archivio con 25mila fotografie di graffiti a Bologna che ora le ragazze di Serendippo hanno pubblicato in una serie di libri, Graffinbo, il cui secondo volume è in uscita. «Landini andrà anche a fotografare Rusco – spiegano – cioè la street art nel suo spazio naturale». Ma nel dibattito non si risparmiano critiche neanche a Blu: secondo Etta, infatti, «non si distingue in quello che ha fatto con pennelli e vernice grigia dai volontari dei comitati che imbiancano i muri».

Dall’altra parte della barricata, gli osservati speciali di queste ore sono i ragazzi dei centri sociali, che hanno dato manforte a Blu per cancellare le sue opere. La polizia sarà presente all’inaugurazione a Palazzo Pepoli, pronta a intervenire in caso di contestazioni, ma per il momento gli attivisti hanno organizzato ben altro. Dalle 18, mentre gli invitati si staranno preparando all’elegante vernissage, all’Xm24 di via Fioravanti ci sarà una serata di concerti, reading e cibo il cui ricavato sarà destinato a sostenere le spese legali dei «giovani imbianchini» denunciati per aver coperto di grigio il dipinto di Blu.

Per “colpa” di quegli stessi imbianchini al Quartiere Savena la presidente Virginia Gieri si è premurata di chiedere all’avvocatura del Comune un parere sul fatto che «sia stato cancellato un murale che era stato pagato dal Quartiere circa mille euro». «Non ho intenzione di denunciare nessuno – precisa Gieri – però quello è un bene del Comune, o meglio era. È come se l’autore di un quadro fosse entrato nel mio ufficio a riprenderselo».

Il procuratore aggiunto Valter Giovannini in merito ha detto all’Ansa: «In astratto se l’opera fosse stata effettivamente commissionata e pagata la proprietà sarebbe del Quartiere e sempre in astratto potrebbe configurasi il reato di danneggiamento aggravato dall’esposizione del bene alla pubblica fede». Lo scrittore Wu Ming 1 così commenta la Gieri: «Quell’opera era alta come un palazzo, e adesso si dice che quel murale non fu donato alla città? È sprezzo del ridicolo o semplice, totale ignoranza di quanto valga un pezzo di Blu a livello internazionale? Anche in quel caso Blu ha fatto un regalo alla città».

ELEONORA CAPELLI, LA REPUBBLICA

Gli street artisti in rivolta

La maggioranza però gradisce la pubblicità che ottiene

Una città in subbuglio per colpa di una mostra sulla street art. Operai che staccano opere dai muri, autori che nottetempo, armati di vernice scura, le cancellano dai palazzi in segno di protesta, il sindaco, Virginio Merola, che litiga col potente presidente di Banca Imi nonché di Genus Bononiae, ricco ramo museale della fondazione più importante, quella della Cassa di risparmio, i critici d’arte che si dividono e si infamano gli uni con gli altri, con la pagina Facebook creata in tutta fretta «Io non partecipo» che ha già raccolto oltre tremila adesioni e le tv straniere che arrivano per documentare questo strano fenomeno di una mostra che fa esplodere quella che Francesco Guccini, in una celebre canzone, ha definito «una vecchia signora dai fianchi un po’ molli, col seno sul piano padano ed il culo sui colli». La mostra dello scandalo, che sarà inaugurata domani, (fi no al 26 giugno, ingresso 13 euro), si intitola: Street ArtL’arte allo stato urbano, curata da Christian Omodeo e Luca Ciancabilla, con l’apporto di Sean Corcoran, a capo del Museum of the City of New York e di Arthemisia Group. Sono esposte opere prelevate dai muri della città. La domanda di fondo, che ha acceso la miccia, è: opere destinate alla strada e quindi a una fruibilità popolare e gratuita possono essere tolte dalla loro collocazione e inserite in un museo? Tra l’altro l’operazione è stata effettuata senza il consenso di un autore assai celebrato, Blu, considerato dal quotidiano Guardian t ra i dieci più importanti esponenti mondiali della street art, che ha per protesta ricoperto di vernice tutti gli «affreschi» che aveva realizzato in città «per sottrarli al mercimonio». Il bello è che uno dei curatori aveva scritto 3 anni fa che «queste opere di strada non devono diventare proprietà privata senza il consenso espresso dell’artista che le ha offerte allo spazio pubblico». Salvo poi mandare i tecnici in giro per la città a strappare i graffi ti. E di rimando il sindaco Merola commenta: «Un errore non avvisare l’autore, ma risolvere una situazione controversa annullando le proprie opere d’arte non mi sembra il massimo». Pure lui, però, in passato anziché di opere d’arte aveva parlato di imbrattamento dei muri e deciso di punire con 500 € chi viene trovato con lo spray in mano. È toccato per esempio ad AliCè, che il Comune ha multato per imbrattamento e si ritrova artista di grido in questa rassegna. La mostra contiene 250 opere. Tra le fi rme: Bansky, Haring, Basquiat, Rusty, CuoghiCorsello e, appunto, Blu. Per la prima volta in Italia è proposta la collezione del writer ame ricano, nato nel quartiere di Chinatown, Martin Wong, donata nel 1994 al Museo della Città di New York. La querelle sollevata promette bene per la quantità dei visitatori. Fabio Roversi Monaco, presidente di Genus Bononiae e organizzatore dell’esposizione assicura che «quasi tutte le opere si trovavano all’interno di complessi edilizi con pericolo di crollo, quindi in realtà quelle opere le abbiamo salvate». Prende però le distanze un componente la giunta comunale, l’assessore Matteo Lepore: «Dobbiamo imparare tutti dalla vicenda che lo spazio pubblico è un bene comune e come tale appartiene alla comunità». Ovvero come una mostra può diventare terreno di scontro anche politico, sulla scia del gesto di Blu, così commentato dal collettivo che lo appoggia: «Una decisone presa da chi ha chiara la differenza tra chi detiene denaro, cariche e potere,e chi mette in campo creatività e ingegno.È la resa dei conti fra arte e politica. O meglio, è l’arte che si fa politica». Bacchetta sindaco e giunta, Cathy La Torre, consigliere comunale di Sel: «Se Blu non avesse fatto ciò che ha fatto, non avrebbe portato all’attenzione internazionale qualcosa che a Bologna è in atto già da tempo: la speculazione artistica che prende il sopravvento su un bene collettivo. L’assessore alla Cultura ha tentato di cavalcare la protesta di Blu, ringraziando l’artista per aver ‘fatto riflettere’ la città, poteva pensarci prima». Il dibattito sulla street art è destinato ad espandersi ad altre città. Il veterano dei writer milanesi, Davide Atomo Tinelli, dice: «La nostra è un’arte effimera e deve rimanere sui muri. Perché se cambia di posto cambia anche di senso». Aggiunge il catanese Poki :«Ogni disegno non è collocato per caso in un posto ma si inserisce nell’ambiente in cui è stato creato, è legato ad esso, alle persone che vivono nei dintorni. Nel caso di Bologna il vero problema è che l’opera viene tolta ai destinatari originali, che in ogni momento possono usufruirne gratuitamente». Aggiunge Valter Pinto, docente di Storia dell’arte moderna all’università di Catania: «La street art per defi nizione, per essere capita bene, va vista per le strade e non nei musei».Tenta la mediazione il curatore della mostra Luca Ciancabilla: «Gli ‘stacchi’ non nascono oggi, molti writers vogliono entrare nel mondo dell’arte, altri no. La mostra vuole illuminare anche questo rapporto di amore-odio». Intanto a Firenze, forse guardando all’affaire bolognese, stanno decidendo di regolamentare l’attività dei writers. Gli artisti potranno esercitare la loro attività in alcuni luoghi scelti dall’amministrazione. Nella bozza di delibera è scritto che «si intende consentire l’espressione di forme artistiche in contenitori riconosciuti. Il resto di questo tipo di attività non può essere considerato forma artistica, in quanto si tratta di imbrattamenti che costituiscono danneggiamenti di beni pubblici e privati e ogni anno costano molte risorse sia pubbliche o private». In compenso nessuno potrà appropriarsi dell’opera realizzata nello spazio concesso senza il placet di chi l’ha realizzata. Commenta Clet Abraham, writer bretone che si è stabilito a Firenze: «Mah, l’uomo comune dice: sogno un mondo dove essere civile non è solo obbedire. La polizia risponde: multa e rimozione forzata. Con la street art la città e magica, perché relegarla nei ghetti»? Rimane il fatto che la stragrande maggioranza degli autori delle opere in mostra a Bologna hanno accettato che i propri lavori venissero spostati dai muri. Una tempesta in un bicchiere d’acqua? Un writer milanese, Soviet, fa una provocatoria ri essione: «Ma quale street art se la street non c’è più»? Twitter: @cavalent

CARLO VALENTINI, ITALIA OGGI

Bloccati dalla soprintendenza i nuovi murales delle scuole Testoni

CC

A POCHI metri dalla colata di grigio scelta da Blu per protesta contro la mostra di Palazzo Pepoli, in Bolognina si combatte un’altra battaglia in nome della street art. E’ quella dei ragazzi delle scuole medie Testoni, che da quasi un mese aspettano ancora il via libera della Sovrintendenza per dipingere i muri del loro istituto in via Di Vincenzo. Nulla di nuovo, perché già l’anno scorso l’iniziativa aveva avuto un grande successo. Pennelli in mano, gli studenti avevano trasformato l’anonima parete di via Bolognese in un colorato graffito, studiato in classe insieme agli insegnanti e a un consulente artistico. Il bis sembrava naturale, invece è nato qualche intoppo: «E’ giusto che la Sovrintendenza faccia i propri rilievi, ma mi auguro che tutto si risolva in tempi brevi», l’auspicio del presidente del quartiere Navile, Daniele Ara.

I PROBLEMI riguarderebbero la compatibilità dei nuovi graffiti con i muri di un edificio che risale agli anni ’30 e ha dunque caratteristiche storiche da rispettare secondo le Belle Arti, ostacoli inattesi dato che solo 12 mesi fa tutto era filato liscio senza alcun intoppo. «Quel progetto di riqualificazione è stato molto utile -ricorda Ara -: quelle pareti normalmente ospitavano frasi stupide e inutili, slogan volgari o semplicemente ‘sgorbi’ orribili. Invece oggi – prosegue il presidente del Navile -, il graffito è stato accettato dagli abitanti della zona, che difficilmente vorrebbero farne a meno». Il Quartiere ci aveva investito molto, anche finanziariamente, all’interno di un piano che ha visto la riqualificazione anche dei marciapiedi e degli attraversamenti pedonali. Intanto, in Bolognina non si placa l’eco della protesta di Blu: «Continuano a chiamarmi molte persone, soprattutto anziani, deluse per la scelta dell’artista», rivela Ara, che già sabato scorso aveva criticato la decisione di cancellare «uno dei simboli della nuova Bolognina che vuole rinascere».

IL RESTO DEL CARLINO

Graffito pagato, si interessano i pm Il Comune frena: «Non denunceremo»

CEC

Conte: «Normale che il Savena abbia chiesto un parere legale». Giovannini: «Possibile reato» Svelato il «museo a cielo aperto» degli anti-Genus: è nell’ex Zincaturificio di in via Stalingrado

Con la cancellazione delle sue opere, Blu non ha solo aperto un dibattito in città sulle motivazioni del suo gesto e sul valore dell’arte di strada, ma ha anche servito una patata bollente al Comune.

Parliamo del murales della scuola di Pace di via Lombardia, che era stato commissionato dal Quartiere Savena e quindi anche regolarmente pagato allo street artist marchigiano: il direttore della circoscrizione, come raccontato dal Corriere di Bologna , ha chiesto un parere agli avvocati di Palazzo d’Accursio sulla vicenda. «Ci stiamo chiedendo se era legittimo cancellarlo», ha spiegato la presidente Virginia Gieri. «Si tratta di una procedura burocratica, giustamente gli impiegati hanno chiesto un parere – getta acqua sul fuoco l’assessore alla Cultura, Davide Conte -. Non credo ci saranno ulteriori iniziative legali, ritengo sia più interessante per la città la riflessione artistica creata da Blu». Una patata bollente, appunto. Il Comune non sembra intenzionato a sporgere denuncia: non vuole passare per l’istituzione che denuncia il grande street artist. E questo, a quanto pare, al di là di quello che sarà il parere legale. Ma c’è un’altra istituzione che si sta interessando alla vicenda e che potrebbe muoversi diversamente. È la Procura, che per voce del procuratore aggiunto Valter Giovannini ipotizza possibili sviluppi: «Se l’opera fosse effettivamente commissionata e pagata, la proprietà sarebbe del Quartiere e, in astratto, potrebbe configurarsi il reato di danneggiamento aggravato dall’esposizione del bene alla pubblica fede». Ribadisce la solidarietà a Blu il collettivo di scrittori Wu Ming. «Anche in quel caso Blu ha fatto un regalo alla città. Se rivogliono quei 1000 euro propongo che Blu vada a restituirli in biglietti da 5, e per giunta netti, appendendoli a quel muro», scrive Wu Ming 1.

Intanto, che negli uffici comunali ci sia imbarazzo lo dimostra anche il fatto che l’assessore al Marketing urbano, Matteo Lepore, preferisca lasciare la parola a Conte nonostante avesse seguito in prima persona il progetto del graffito come coordinatore alla cultura del Savena. «L’opera rientrava in una rassegna alla quale avevano partecipato altri grandi nomi», spiega Conte. Il dibattito scaturito dalla mostra di Genus Bononiae e dalla protesta di Blu potrebbe portare a grandi novità anche nelle due iniziative istituzionali organizzate in città per valorizzare la street art: il festival Cheap e Frontier. «Chiederò ai direttori di pensare a qualcosa di veramente innovativo per renderle al passo con i temi caldi di questi giorni, ci saranno novità», chiude Conte, che fa sapere che oggi sarà presente alla conferenza stampa di presentazione della mostra.

Intanto ieri, è stato svelato il «museo a cielo aperto», senza ticket d’ingresso, con decine di opere realizzate nelle ultime tre settimane da writer italiani e stranieri. Un fiore spuntato al 63-65 di via Stalingrado, nell’immenso ex Zincaturificio dismesso da anni. L’evento, ideato all’interno del progetto Rusco (Recupero Urbano Spazi COmuni) dall’associazione culturale Serendippo, è la risposta alla musealizzazione di Genus Bononiae della street art. Chi vorrà apprezzare graffiti, murales, stencil e le altre tecniche utilizzate dai 45 street artist che hanno risposto al contest dovrà solo assumersi la responsabilità di entrare in un luogo abbandonato per il quale i vigili del fuoco non hanno dato l’autorizzazione per organizzare un evento pubblico. Ma il proprietario, che ha concesso spazi e pareti a Serendippo, non denuncerà nessuno. Dentro lo scenario è imponente e suggestivo: disegni, colori, invenzioni, applicazioni, opere ovunque e di svariati stili e tecniche. In tutto 16 mila metri quadri di pareti, molte delle quali ancora da realizzare: ieri c’era il reggiano Nada al lavoro. Tutto autofinanziato. Intanto oggi alle 18,30 c’è l’ingresso a inviti alla mostra e in serata un contest per i blogger. C’è allerta per le proteste ma Fabio Roversi Monaco è sereno: «È un evento internazionale bellissimo, che darà grande risalto alla città. Delle 300 opere solo 7 sono firmate da Blu, credo sia sufficiente per spiegare la portata di questo evento per Bologna».

«Ringraziamo Blu, il suo gesto ha aperto una discussione»

«Giustifico quello che ha fatto Blu. La sua azione è stata importante, la palla adesso è passata a noi o meglio alle città e a come vogliono sviluppare i temi messi al centro dall’artista». Alessandro Dal Lago, sociologo ed editorialista del Manifesto , ha scritto insieme a Serena Giordano il libro Graffiti. Arte e ordine pubblico , edito dal Mulino. 

Avevate anticipato quello che sarebbe successo?

«Ovviamente non è una cosa voluta, stavamo scrivendo già quando è stata resa nota la notizia di una mostra a Bologna dedicata ai graffiti. Con la stessa autrice abbiamo pubblicato quattro libri sull’argomento, in questo caso ci siamo voluti soffermare su un tema spesso dibattuto: i graffiti sono arte o vandalismo?». Lei si schiera dalla parte di Blu. Chi difende la mostra sostiene sia compito di un’istituzione culturale anche quella di conservare e valorizzare nel tempo questa forma d’arte.

«È un grande classico dei galleristi quello di voler spiegare o quantomeno definire cosa è arte e cosa non lo è. Trattandosi di arte di strada dovrebbero invece essere i cittadini a dire la loro e a indignarsi se ritengono che gli sia stato tolto qualcosa. Ho letto per esempio le lamentele del presidente di Quartiere contro Blu. Chi fa quel tipo di opere sopporta meglio la cancellazione rispetto agli “strappi” che cambiano totalmente il significato dell’opera, snaturandola».

Quanto c’è di politico secondo lei in tutta questa storia?

«C’è sempre stato un forte legame tra street art e politica. Negli Usa tra i primi street artist ci sono stati gli ispanici e gli afroamericani. In Italia c’è sempre una sovrapposizione con gli ambienti antagonisti e i centri sociali. Credo sia dovuto soprattutto al fatto che le differenze tra centrosinistra e centrodestra siano da anni inesistenti e si cerca di portare il conflitto anche sotto queste forme. Come ha fatto Blu, un modo per provocare e aprire una discussione».

Le città dovrebbero offrire spazi ai writer?

«Potrebbe essere una soluzione ma non credo risolverebbe realmente il tema della gestione pubblica dell’arte. Mi domando per esempio, una pubblicità invasiva che oscura la visibilità di un monumento non può essere paragonata a una scritta che lo sporca? Servono riflessioni…».

FERNANDO PELLERANO E MAURO GIORDANO, CORRIERE DI BOLOGNA

ARTICOLI DEL 17 MARZO

Street art, finalmente la mostra si vede Roversi: “Blu? Le sue opere al Comune”

MA CHE

QUESTA cosa tutta imbrattata, ad esempio, può essere definita, come farebbe un annoiato catalogatore dei beni culturali, “acrilici su lamiera ondulata”? Oppure era la saracinesca vera di un negozio vero che qui non c’è, che stava in una strada vera? L’arte di strada senza strada cos’è? Una rondine non fa primavera, se impagliata ancora meno. La mostra Street Art, la mostra della discordia, non “fa” street art solo perché contiene cotenne scorticate di opere che erano in strada. NON più di quanto una collezione di farfalle spillate sul sughero “faccia” una foresta tropicale. Fa però un’altra cosa, non meno interessante. Fa esplodere il conflitto fra la strada e la mostra, fra l’artista e il museo. Un po’ a sorpresa, il catalogo contiene eccellenti argomenti contro la mostra stessa: “Al di fuori dal contesto originario le opere perdono il loro valore semantico, perché non sono state prodotte per essere esposte in un museo”. Afferma certe cose a pagina 32 (“Ma quale diritto d’autore? L’autore vi ha implicitamente rinunciato al momento di realizzare l’opera su un supporto non suo”) che poi smentisce a pagina 73 (“Anche in caso di opera d’arte illegale vale il diritto d’autore”), insomma è la plastica rappresentazione di un conflitto aperto, irrisolto, vivo e molto più complesso, culturalmente e giuridicamente, di quanto la sicumera dei potenti sponsor, ieri alla presentazione, volesse far pensare. A Palazzo Pepoli ti accolgono i topi. Di Banksy, di Ericailcane, di Drouet. Bellissimi e schifosi.

Il topo è l’alter ego del writer, sporca e fugge, vive negli angiporti della città e tutti gli danno la caccia. Chi è il suo metaforico antagonista? No, non il gatto poliziotto. Come nel poemetto omerico-leopardiano, è la rana: che gracida ad alta voce, la rana è il loquace sistema dell’arte, i cui funzionari si sentono “amministratori del patrimonio del mondo” (diceva ieri Christian Omodeo, curatore della mostra), addetti alla “salvaguardia”, di ciò che loro stessi hanno ritenuto degno di salvataggio, con o senza il consenso degli artisti interessati.

Sia chiaro al visitatore che fra questi trecento pezzi l’etichetta di street art copre le cose più diverse, disegni fatti per la strada, per restarci e morire lì; disegni e oggetti fatti per il mercato, che in strada non ci sono mai stati; disegni che gli stessi artisti hanno preso dalla strada e hanno venduto sul mercato. Spesso il medesimo autore (compreso il grande contestatore Blu) appartiene a più di una categoria. Ma il visitatore è messo poco in grado di capire la differenza, come se la volontà originaria non contasse nulla.

Come se il destino di qualsiasi opera, anche la più sporca ribelle e topesca, fosse di finire fra le linde pareti del “cubo bianco” museale, altrimenti i funzionari della storia dell’arte cosa ci stanno a fare? Ecco ad esempio le opere di Blu, quelle controverse, quelle staccate a suo dispetto. “Salvate da roditori e umidità” (Roversi Monaco). Davvero salvate? Sembrano ancora identiche a quand’erano in strada, poi ti avvicini e il cemento faccia a vista si rivela un fondo di tela che imita il cemento alla perfezione, ma allora cos’è che sto guardando, l’opera originale o la sua transustanziazione, un’altra opera fatta di tutt’altra materia? Cosa è stato salvato davvero, un sudario, una decalcomania, un falso? O un oggetto ora finalmente asportabile, il contrario di quel che era? I marxisti la chiamavano commodification.

Ai piani superiori, provenienti da Marsiglia e New York, trovi appesi con una sacralità da icone di Rublev autentici pannelli di cantiere e finestrini di metropolitana, prelevati da previdenti “asportatori” perché coperti di tag, le firme compulsive da cui tutta la street art cominciò, cinquant’anni fa.

Erano l’esplosione di una insurrezione semantica urbana, erano il tatuaggio sovversivo che le subculture giovanili metropolitane infliggevano alla città benpensante, facevano imbestialire poliziotti e bravi cittadini, mentre ora sono qui, difesi da poliziotti e ammirati dai bravi cittadini. Si potrebbe parlare di archeologia del presente, bell’ossimoro, ma i musei “salvano” i relitti di ciò che non ha più un contesto, e il museo allora è quella macchina concettuale che lo ricostruisce per dare almeno in parte un senso a reperti orfani. Qui invece il contesto c’è ancora, ma resta fuori dal museo. O forse la mostra somiglia di più ai musei etnografici coloniali, dove gli etnografi esponevano oggetti portati via a culture ancora vive. È questa è così viva che, mentre si paga per vedere le opere “salvate”, i writer “vandali” a Bologna vengono denunciati perché ne vogliono produrre delle altre.

Ora anche Le Monde parla della mostra di Bologna. Lo avrebbe fatto senza lo sfregio auto-iconoclasta di Blu? Solo la guerrilla art di pennelli e scalpelli di sabato scorso ha fatto capire che la street art non è come gli affreschi di Pompei, che i topi sono ancora lì fuori, vivi e vegeti. E fanno casino.

MICHELE SMARGIASSI, LA REPUBBLICA

All’Accademia allievi e docenti divisi tra artista e presidente

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GLI studenti stanno con Blu: “L’arte di strada deve rimanere in strada”. I professori lodano la “performance artistica”, ossia la cancellazione delle sue opere. Ma riconoscono anche le ragioni di chi voleva “salvaguardarle” strappandole dai muri.

Nel giorno dell’inaugurazione dell’anno accademico, l’Accademia di Belle Arti si divide, discute, non riesce più ad essere impermeabile al dibattito sulla street art. Anche perchè ha in casa i protagonisti dello scontro. Fabio Roversi Monaco è il presidente, e ieri ha aperto il nuovo anno di lezioni. Blu è stato studente qui in via Belle Arti, diplomato a marzo del 2006 con una tesi su Norman McLaren. Non solo: chi ha restaurato i graffiti portati al museo è un ex professore dell’Accademia, Camillo Tarozzi.

La giornata inaugurale dei corsi è cominciata all’alba, con manifestini attaccati accanto al portone che riportavano il murales di Blu dell’uomo che calcia una testa, presente in mostra, con la scritta: “Intonaco su Monaco”. La bidella li ha tolti al suo arrivo, nessuno se ne accorto. La cerimonia è cominciata due ore dopo: l’aumento degli iscritti (+16%), l’omaggio a Pirro Cuniberti, l’applauso per Umberto Eco. Il dibattito-scontro sull’arte in strada o nel museo è rimasto nei corridoi e sotto il portico dell’Accademia. Bianca e Silvia, al secondo anno di pittura, trovano giusto il gesto di Blu, “ma così ha tolto la possibilità a tutti di godere di un’opera che non era più sua”. Alissa e Caterina, 20 anni, puntano il dito sulle contraddizioni: “Si fa una mostra sulla street art e poi si condanna Alicè: un controsenso”. Marianna non andrà alla mostra: “Preferisco girare per la città se voglio vedere opere di street art”. Anche Sara, iscritta a design grafico, non ha dubbi: “Non andrò, che tristezza, ora è tutto più grigio”. Certo è, aggiunge Giancarlo, compagno di corso, “che noi ci sentiamo più rappresentati da Blu”. I ventenni aspiranti artisti lo conoscono tutti. Se chiedi di Cuniberti qualcuno alza le spalle: “Chi è?”. Qui il Banksy italiano è stato studente. Se lo ricorda bene Luca Caccioni, professore di pittura: “Mi portava i lavori fatti per la cattedra. Portami quello che sei tu, gli rispondevo. Non posso, sono lavori illegali. E’ lo stesso. Me li portò. Così è cominciato un rapporto -racconta Blu è una persona etica, rigorosa, di grande energia. Lo era già da studente. E’ un artista ideologico e quello che ha fatto era prevedibile: è lui”. Per la tesi (relatore Carlo Branzaglia) scelse McLaren, maestro del cinema di animazione, ma anche tre suoi video: animazioni di suoi murales. Caccioni difende le ragioni di entrambe le parti: “Ingiusto aver personalizzato lo scontro su Roversi Monaco e Blu, semmai ci siamo giocati un ruolo di Bologna da protagonista come è successo per il fumetto e il rock demenziale”. I prof discutono: “Blu è stato bravo dal punto di vista strategico”, osserva Salvo Palazzolo, docente di cromatologia. “Quello di Blu è stato un gesto politico e profondamente artistico: ha riportato al centro l’artista”, commenta la critica d’arte Silvia Evangelisti, ha tenuto commemorato Cuniberti. Ma tra Roversi e Blu? “Sto con tutti e due “.

ILARIA VENTURI

I graffitari vanno in piazza contro i graffiti

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La mostra su Banksy e la Street Art viene contestata dagli stessi artisti con una manifestazione L’accusa è di aver decontestualizzato le opere per portarle in un museo. Ma è la legge della strada

Chi non segue le regole può essere solo un furbo o magari un precursore, un rivoluzionario, un santo, un genio. Come sempre, sono i posteri a decidere. Quello che chi non segue le regole non può fare, però, è pretendere che gli altri le rispettino nei suoi confronti. E invece è proprio questo che hanno fatto gli artisti che boicotteranno la mostra Street art – Banksy & Co. che inizia oggi a Bologna , presso il Museo della Storia di Palazzo Piepoli. L’evento porterà per la prima volta in Italia parte della collezione del pittore statunitense Martin Wong donata nel 1994 al Museo della città di New York e presentata nella mostra «City as Canvas: Graffiti Art from the Martin Wong Collection». E ancora, si potranno ammirare lavori dei più grandi graffiti writers e street artist statunitensi come Dondi White, Keith Haring e Lady Pink. L’idea si scontra tuttavia con una contraddizione filologica evidente: la street art ha bisogno di… street. È, cioè, un’arte di strada, che nasce sulla strada, è clandestina e ribelle (o presunta tale). Ha senso racchiuderla in un museo? Il dibattito è vecchio quanto l’arte, da Marinetti, che voleva far saltare le accademie e poi divenne membro dell’Accademia d’Italia, a Pinot Gallizio, che dipingeva opere al metro quadro a prezzi esorbitanti per non essere di moda e così facendo andava ancora più di moda. Fa tutto parte del gioco e va bene così. Almeno finché non scende in campo l’Intellettuale Militante Collettivo. È quel che sta accadendo per la mostra di Bologna. L’accusa è quella di aver decontestualizzato le opere e di averle, in alcuni casi, staccate dai muri sui quali erano state realizzate senza il permesso dei diretti interessati. La protesta più clamorosa è stata quella dello street artist Blu , che già ha cancellato i suoi murales a Berlino e ha deciso di far scomparire anche tutti i suoi lavori disseminati per Bologna. Sul proprio blog Blu aveva scritto: «A Bologna non c’è più Blu e non ci sarà più finché i magnati magneranno. Per ringraziamenti o lamentele sapete a chi rivolgervi». Ovviamente si è messo in mezzo anche Wu Ming , lo pseudonimo con cui un gruppo di scrittorimilitanti pubblica romanzi e articolesse varie che dettano l’ortodossia del mondo culturale impegnato. Luca Ciancabilla , curatore della mostra, ha risposto per le rime: «Gli artisti possono dire la loro come meglio credono. Tuttavia continuo a non vedere dove sta il “peccato”: abbiamo sperimentato una tecnica vecchia di secoli su pitture murali in luoghi fatiscenti per salvarle e consegnarle ai posteri. C’è chi ci dice: bastava una foto. Sappiamo bene che in parte si perde il contesto, ma il nostro è un gesto di libertà quanto lo è quello del writer che realizza un graffito in un posto proibito. A Bologna la critica militante ci ha subito dato contro, pensando a una campagna a tappeto di “distacco”. Non è così, c’è molto altro. Quello che sento attorno mi pare piuttosto un vaniloquio. Aspettiamo almeno di vederla, la mostra». Una frase di questa dichiarazione merita di essere sottolineata: «Il nostro è un gesto di libertà quanto lo è quello del writer». Può sembrare un paradosso e una provocazione, e forse è entrambe le cose, ma indubbiamente il ragionamento ha un senso. Il luogo in cui l’arte viene tutelata, protetta, valorizzata esiste e ha un nome: si chiama museo. Può non piacere, spesso a ragione, ma chi decide di disertare tale luogo fa automaticamente a meno anche delle tutele conseguenti. Se dipingi su un muro che non è tuo, può accadere che il proprietario decida di farlo imbiancare, che un barbone ci urini sopra o che un museo decida di prendere l’opera e chiudervela dentro. Anche questa è legge della strada. 

ADRIANO SCIANCA

«L’arte di strada ci costringe a cambiare»

Roversi-Monaco: «Le opere saranno conservate»

SONO tanti i quesiti che la mostra Street Art Banksy & Co. e il corrispettivo gesto antagonista e contestatore di Blu stanno stimolando, creando dibattito, in città. A uno di questi il presidente della Fondazione Genus Bononiae, Fabio Roversi-Monaco, risponde senza esitazioni, prima a margine a della conferenza stampa e poi alla presentazione dell’esposizione alla stampa: «Una volta finita la mostra -spiega Roversi-Monaco, le opere andranno a finire in una struttura messa a disposizione da Italian graffiti e lì conservate e tutelate finché saranno donate al Comune di Bologna».

LA NOTIZIA è appresa in tempo reale dall’assessore alla cultura Davide Conte, che, colto di sorpresa, risponde cauto: «Su questo vanno fatte tutte le verifiche, anche sui costi, è un atto amministrativo complesso e bisogna sentire il sindaco e l’istituzione musei». E aggiunge: «Sarebbe troppo facile rispondere in maniera precipitosa, bisogna capire se ha senso o no, il che non vuol dire abdicare». Lui, che sabato scorso era arrivato davanti all’XM24, appena saputo dell’operazione di cancellazione da parte di Blu delle sue opere, e che aveva manifestato una grande emozione, ha maturato l’esigenza di aprire una riflessione pubblica su «che città vogliamo costruire» perché, spiega, «dopo questa azione, la politica culturale della città non potrà essere più la stessa e le cose devono cambiare, col contributo anche di due format quali Frontier e Cheap che sono esperienze importanti, forse da ripensare anch’esse, vedremo, perché non stiamo più affrontando la cosa dal punto di vista del manufatto, dell’estetica o della tradizione che ci si passa».

E QUINDI, entro fine mandato, Conte spera di riuscire a organizzare un convegno in cui affronterà anche il tema del possibile «trapasso» delle opere strappate al comune. Il dibattito non si ferma ed è quello che guida la presentazione della mostra vera e propria, per cui resta poco tempo a dir la verità. Sono tante le urgenze. «Tutto quel che è successo – è la riflessione del presidente di Genus Bononiae – è il segno che questo tipo di tematiche attrae l’attenzione non banale delle persone e attraversa vari standard sociali». E prosegue: «In 50 anni, il writing ha cambiato il nostro modo di relazionarci con lo spazio e abbiamo percepito uno stimolo nuovo che ci ha costretto a confrontarci con la nostra storia personale e con nuovi canoni estetici», ammettendo poi che lui «una mostra così» non l’avrebbe mai concepita e non avrebbe mai saputo chi sono «Dado, Banksy o Rusty», alcuni degli artisti protagonisti. Ci tiene anche a far chiarezza su altre polemiche: «Qui nessuno ha guadagnato una lira, decine di persone hanno lavorato gratuitamente», dice. Di più, nello staccare quelle opere e portarle a Palazzo Pepoli «non c’è fine di lucro». E poi, «nessuno ha mai parlato di museo, se c’è un uomo tanto pazzo o tanto ricco da farlo, ben venga, ma non è nel nostro ordine di idee». Chiosa finale: «Vedremo se questo luogo riuscirà a consentire la circolazione di persone che visitano la mostra sulla città e quella sui graffiti con un biglietto unico». La scommessa è aperta.

BENEDETTA CUCCI, IL RESTO DEL CARLINO

«Blu spinto dall’ideologia Potevamo lavorare insieme» Monica Cuoghi ha dipinto per Palazzo Pepoli

LA SUA PAPERELLA è l’icona, da molti anni, della street art italiana. Si aggira lieve e col sorriso beffardo da sempre sui muri della città, a volte da sola, a volte con le sue gemelle. Un simbolo che è stato riprodotto su tshirt collezionate come opere d’arte e che è arrivato sulla copertina della rivista internazionale Flash Art, facendo di Monica Cuoghi, insieme al suo compagno di vita e di creatività Claudio Corsello (i loro nomi da writers sono Pea Brain e Cane Cotto), il duo che ha dato origine alla scena dei graffiti cittadina. Celebrati dal Macro di Roma, che a loro ha affidato la linea di merchandising realizzata per l’apertura del museo, provengono dall’underground bolognese, rispettati dalla nuova generazione di artisti come Blu che guardando l’ormai leggendaria paperella dipinta sulle parete dell’ex Link di via Fioravanti ha deciso, giovanissimo, di dedicarsi a questo linguaggio creativo. Adesso Monica e Claudio sono tra i protagonisti della mostra ‘Street Art’, che inaugura oggi a Palazzo Pepoli, avendo scelto, a differenza di altri loro colleghi, di partecipare con un’opera realizzata all’interno dell’esposizione su commissione. Cuoghi, come è nato il vostro rapporto con ‘Street Art’? «Lo scorso anno eravamo a Palazzo Pepoli per il concerto di Suz durante la rassegna musicale ArtRockMuseum e io, che avevo in programma una mostra nella galleria Astuni, ho incontrato Roversi-Monaco e gli ho dato un invito. Ci siamo intesi subito. ‘Lei è quella delle paperelle? Mi ha chiesto. Sa che vorrei fare una mostra con lei?’. Ed eccoci qui a dipingere un muro di Palazzo Pepoli». Voi ci siete e Blu, che pure vede in voi gli artisti grazie ai quali è iniziata la sua carriera, cancella le sue opere in giro per Bologna. «Conosco Blu da molti anni e lo considero una mente raffinatissima, una persona dai pensieri troppo sofisticati per poter immaginare che questa decisione sia stata davvero ponderata. Temo che lui sia stato moralmente spinto a cancellare le opere. Secondo me, si è trattato di troppa ideologia. Non poteva tirarsi indietro, visto l’ambiente che lo circondava. Mi piacerebbe, tra qualche tempo, sentire il suo punto di vista». Lei, quindi, approva gli stacchi fatti dai muri. «Se Blu avesse davvero voluto fare un gesto di protesta, avrebbe dovuto farlo subito e non così platealmente a ridosso della mostra, sapeva che gli stacchi erano in corso, poteva cancellare tutto mesi fa, non ha mai risposto agli inviti degli organizzatori che volevano incontralo. Una volta ha dato loro appuntamento, lo hanno aspettato per ore, ma non è arrivato». Rammarico per questa scelta? «Moltissimo. Sono sicura, conoscendolo bene, che la possibilità di lavorare insieme c’era. Gli sarebbe bastato dialogare con una persona eccezionale come Camillo Tarozzi, il restauratore che ha curato gli stacchi e la conservazione delle opere, per avere chiara la filosofia della mostra. Tarozzi è un artista, il suo lavoro è utile per la street art». Cuoghi, lei è l’autrice della grande paperella che campeggiava sulla parete dell’ex Link in via Fioravanti, andata perduta con la demolizione dell’edificio. Se allora avesse avuto la possibilità di far staccare il suo lavoro, cosa avrebbe fatto? «Avrei accettato, specie se a effettuare lo stacco ci fosse stato un maestro come Tarozzi. Purtroppo nessuno ce lo ha chiesto, altrimenti saremmo riusciti a salvare un’opera alla quale eravamo molto legati. Lo sa che i frammenti di quel muro sono stati raccolti e conservati da decine di ragazzi? Forse per la città sarebbe stato meglio che la paperella fosse adesso in esposizione».

PIERFRANCESCO PACODA, IL RESTO DEL CARLINO

Savena, i vigili acquisiscono la fattura a Blu e portano tutto in Procura

I vigili urbani di Bologna hanno fatto rilievi nei giorni scorsi nei vari luoghi in cui sono stati cancellati i murales disegnati da Blu per protesta contro la mostra Street Art. Banksy & Co. e poi sono andati alla sede del Savena ad acquisire la fattura che il Quartiere ha pagato a Blu per la realizzazione del murale poi cancellato dalla scuola di pace di via Lombardia.

Una fattura di 1.440 euro (questa la cifra precisa) e intestata a Blu con relativa partita Iva come artigiano. E, a quanto apprende il Corriere di Bologna, i vigili urbani hanno poi consegnato tutto il materiale che è stato raccolto in Procura. E così nel giorno in cui si apre la mostra organizzata da Genus Bononiae di Fabio Roversi Monaco la vicenda di Blu e della sua scelta di cancellare le opere che finora è stato soprattutto un caso politico e artistico rischia di diventare anche un caso giudiziario.

D’altra parte già nei giorni scorsi, quando in città erano stati cancellati i murales, tre attivisti del Laboratorio Crash erano stati denunciati per imbrattamento e violazione di domicilio mentre cancellavano un’opera dello street artist da via Zanardi, già sede (occupata) del centro sociale. E in via Fioravanti la polizia municipale aveva tentato di far desistere gli attivisti dalla rimozione dell’opera, ma senza risultati. Ieri l’ex segretario di Sel Bologna, Luca Basile (che oggi milita in Coalizione sociale) ha polemizzato con la presidente del quartiere Savena Virginia Gieri che aveva raccontato al nostro giornale della commissione a Blu del murale della Scuola di pace, accusandola in sostanza di non avere detto la verità. «Io allora ero il segretario dell’ong Amici dei Popoli – ha spiegato Basile sui social network- e in occasione della giornata mondiale contro la povertà chiedemmo a Blu di fare gratuitamente l’opera. Amici dei popoli mise invece a disposizione la vernice». A stretto giro è arrivata la correzione di Gieri, presidente uscente del quartiere Savena che all’epoca dei fatti (era il 2007) ha lavorato al fianco di Basile per i graffiti della Scuola di pace di via Lombardia: «Non intendo polemizzare, ma immagino che Luca non ricordi con precisione – ha risposto con un altro post – perché la bellissima opera di Blu è stata richiesta, commissionata e giustamente pagata dal Quartiere Savena nel 2007».

E ancora: «L’opera – ha proseguito – era stata pensata e eseguita all’interno della rassegna Cose di questo mondo . Quello che dico è documentato. Non è mia abitudine mentire e men che meno coinvolgere l’amministrazione in polemiche. Ero orgogliosa, come molti cittadini di Savena, di quell’opera e a loro dovevo un approfondimento rispetto ai fatti». Nei giorni scorsi il direttore generale del Quartiere aveva chiesto anche un parere legale per sapere se doveva tutelarsi dopo il danneggiamento dell’opera che era stata pagata.

Polemica finita? Più o meno perché Basile ha chiesto alla presidente Gieri di fornire le carte che dimostrino che l’opera era commissionata. «Attendo il contratto di prestazione d’opera che il quartiere avrebbe fatto a Blu», ha chiuso la polemica l’ex segretario di Sinistra e Libertà. Carte che il quartiere ieri non ha voluto diffondere. Il motivo è semplice ed è sempre lo stesso: la copia della fattura è stata acquisita dalla polizia municipale e portata in Procura.

OLIVIO ROMANINI, CORRIERE DI BOLOGNA

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