BOLOGNA
Dove c’era un’anfora etrusca, chiusa in una teca di vetro, ora c’è un pezzo di muro con sopra disegnato un ratto, imprigionato nella stessa teca. E’ la prima opera esposta nel Museo della Storia di Bologna a Palazzo Pepoli, trecentesca struttura che ospita dal 2012 un percorso museale permanente che racconta la storia e la cultura della città. L’opera contemporanea si intitola “Radar Art”, è di Bansky e fu creata dall’artista di Bristol dieci anni fa. Il pezzo fa parte dell’esibizione “Street art, Bansky&CO. L’arte allo stato urbano” organizzata da Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, Genus Bononiae, Musei della città e Arthemisia Group, aperta al pubblico dal 18 marzo.L’effetto è spiazzante, anche se come si legge nel catalogo della prima retrospettiva italiana sull’urban art, curata da Luca Ciancabilla, Christian Omodeo e Sean Corcoran, non è affatto nuovo: “L’urban art ha cinquant’anni. Le prime tags di Cornbread a Philadelphia risalgono al 1967, anche se è negli anni Ottanta a New York grazie al fenomeno dell’hip hop che si è propagato nel resto del globo. In questo mezzo secolo si è provato a dare una definizione a questa pratica artistica, che abbraccia numerosi stili, e ci sono state molte occasioni dove il graffito è stato istituzionalizzato ed esibito in gallerie d’arte e musei. C’è anche un precedente bolognese, nel 1984, quando vennero esposte nello stesso contesto le opere di street writer della strada, A-One, Toxic One e artisti più raffinati come Keith Haring e Basquiat”.Street art, Bansky&Co a BolognaLa verità è che lo strappo e il restauro di pezzi di muro o saracinesche, che dalla strada approdano alle teche, è probabilmente solo agli inizi. L’obiettivo della mostra è quello, a detta dei curatori, di avviare una riflessione e un dibattito sui principi e sulle modalità della salvaguardia e conservazione di queste forme d’arte. Ma c’è chi non l’accetta, come l’artista italiano Blu che a pochi giorni dall’apertura ha duramente contestato l’iniziativa oscurando i suoi murales e facendo valere la voce di uno degli street writer più quotati al mondo. A lui è comunque dedicata una grande sala nella panoramica bolognese. A chi appartiene l’opera di strada? E’ della città o dell’artista che ne ha fatto omaggio? Dove va esibita e per quale pubblico? E’ giusto sradicarla dalla sua sede (a volte autorizzata, a volte illegale) per esibirla a pagamento? Si può farne un business? O ha ragione Blu a far valere il diritto di negarla, cancellandone ogni traccia, come forma di protesta contro il confino museale?Gli interrogativi sono tanti e il percorso espositivo, ricco di un centinaio di opere (video, murales, foto, sculture, volantini, lavori su tela) provenienti da musei (per la prima volta sarà esposta parte della collezione del pittore statunitense Martin Wong donate nel 1994 al Museo della città di New York), collezioni private e fabbriche abbandonate, cerca di darne conto. La scommessa è che dopo il muro contro murales tra istituzioni e writer, il dibattito possa sfociare anche in azioni costruttive, e l’arte della cultura urbana continui a manifestarsi in più luoghi (chiusi o aperti che siano) e a raccontare e criticare il nostro mondo. Forse questo tipo di arte di protesta fatta oggi ancora sui muri e forse domani chissà su un wall digitale, oppure organizzata tra le mura di un museo, dovrà trovare nuove modalità di espressione per ribadirne lo spirito ribelle. Come ha fatto Bansky con l’installazione Dismaland. Un esempio di street artist che ha trovato un nuovo modo, acuto, graffiante e non replicabile, per esprimere in suo dissenso alla società.La mostra Street Art Bansky&Co, con opere di Blu, Bansky, Os Gemeos, Obey, Rusty, Dado, Daniele Pario Perra, Blade, Keith Haring, Daze, Rammelizee, Lady Pink, Invader, è aperta dal 18 marzo al 26 giugno a Palazzo Pepoli a Bologna. Tutte le informazioni su Mostrastreetart.it
IL SOLE 24 ORE DEL 19 MARZO
Commenti recenti