BOLOGNA
BLU ha dato una risposta chiara e forte alla provocazione della mostra bolognese di opere di Street Art: ha difeso il suo ruolo di artista da strada e messo ben in chiaro, per chi non lo sapesse ancora, che la Street Art è caduca, legata indissolubilmente al supporto che la regge e ne condiziona l’esistenza, parte di un contesto con il quale crea un dialogo, passibile di essere oscurata da una erede successiva. Il suo “museo” è la città , non la si può strappare e costringere entro ambienti chiusi, i musei appunto, anch’essi però aperti al pubblico godimento; solo un itinerario completo fra diverse stazioni pittoriche può rendere la complessità del fenomeno, la sua valenza sociale, il valore semantico, le qualità espressive. La mostra e la pubblicazione che l’ha preceduta hanno fornito esca per discutere di contenuti e di logiche, di valori e di opportunità, magari con qualche intervento improvvisato di troppo: poi tutto si trasformerà in cassa di risonanza per l’”evento” espositivo. Proprietà giuridica e diritti d’autore delle opere sono altre questioni di non poco conto che andranno giudicate fuori dall’atmosfera surriscaldata di questi giorni in cui Bologna sembra avere riacquistato nerbo nella discussione allargata sul tema delle proposte espositive dopo l’ubriacatura delle mostre colosso a discapito della valorizzazione autentica del proprio patrimonio artistico. Esponendo opere di Street Art strappate ai contesti di appartenenza, si è sancito definitivamente un passaggio.
IL passaggio dall’originario carattere ribelle e innovativo a linguaggio diluito, adattato alle strategie privatistiche dell’arte contemporanea. Come se non ci fossero oggi altri modi di documentare la continua evoluzione delle città, ben oltre la fotografia.
Una delle finalità della Street Art, per dichiarazione degli stessi artisti, è quella di “abbellire” le periferie sottraendole al loro triste grigiore; ma non bastano murales a riqualificare quartieri o rioni degradati, sono piuttosto risposte urbanistiche o interventi architettonici e di risanamento a decretare la fine di condizioni disagiate. La difesa della Street Art e dei suoi specifici connotati non può però essere ad oltranza sul tessuto intero della città. C’è una precisa demarcazione fra spazi utilizzabili e spazi proibiti. Ci riferiamo alla città storica, all’intera sua trama di vie, piazze, palazzi e case costituenti un tessuto continuo, senza fratture, esteso fino alle antiche mura, ma che anche fuori porta esibisce monumenti e aree di pregio storico artistico. Questo vasto paesaggio urbano deve essere off limits, poiché tutelato e da tutelarsi secondo le leggi dello stato in quanto patrimonio della collettività intera dei cittadini che di esso ha fatto nei secoli il baluardo rappresentativo materiale della loro specifica identità, storica e attuale.
Ecco perché ogni intervento pittorico, fosse anche di artisti di qualità riconosciuta, va stigmatizzato e respinto configurandosi come opera pura e semplice di vandalismo grafico su edifici tutelati, né più e né meno del fenomeno allargato delle scritte e delle tags murali di cui i cittadini conoscono bene gli effetti. Vedere esaltate in mostra opere di chi si è addirittura dichiarato/a responsabile di atti vandalici sul tessuto storico in nome della Street Art, è davvero fuorviante: si premia chi dovrebbe al contrario essere denunciato e perseguito penalmente. A proposito di pittura urbana, Bologna vanta un triste primato: quello delle saracinesche dipinte, consentite da una convenzione datata 2008 fra Comune, Università, Associazioni studentesche e Associazione dei Commercianti per finalità pubblicitarie, promozionali e dichiarata “lotta al degrado”, come se la carnevalata scomposta di immagini che contraddistingue le strade del centro storico, persino il portico di San Luca, potesse essere un baluardo contro il fenomeno inarrestabile dei graffiti. Pura illusione: è solo invasione illegittima delle forme della città storica che si sta ampliando ai portoni e ai muri. Quale targa di eccellenza ci dobbiamo aspettare dall’UNESCO per i nostri portici così ridotti? Il fenomeno è grave perché ha assunto una funzione trainante nella diffusione incontrollata delle saracinesche dipinte e nella ormai totale assuefazione dei cittadini. Ciò che più stupisce è la mancanza di un preciso regolamento in proposito da parte dell’amministrazione pubblica che dovrebbe salvaguardare l’integrità delle forme storiche: nemmeno il puntualissimo RUE, regolamento per l’edilizia urbana, fornisce soluzioni al riguardo, ignorando completamente il problema. L’uso indiscriminato di superfici in ambiente storico è solo puro deturpamento e nulla ha a che fare con l’inserimento di opere contemporanee in contesti antichi. (L’autrice è Presidente di Italia Nostra Bologna, già Soprintendente per il patrimonio storico e artistico di Bologna)
JADRANKA BENTINI, LA REPUBBLICA DEL 31 MARZO 2016
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