PERUGIA
LA CITTÀ CHE NON PIACE
Gli stolti allignano ovunque e tendono a tracimare poiché, come noto, la prolifica signora che li genera si dà parecchio da fare. Tuttavia è anche vero che sopra i muri delle città, quando non sui monumenti, si esplica al meglio la loro creatività. Non si parla, beninteso, di mural art ma di ordinari svolazzi e insulsi fraseggi. Deiezioni grafiche imposte con insolenza alla collettività. È il caso del tratto di cinta muraria etrusca sotto via del Poggio. Una piacevolissima scalinata, parte terminale dell’altrettanto suggestiva via della Siepe, vicoletto di collegamento tra la zona di San Francesco al Prato e la soprastante area limitrofa al liceo Mariotti.
In questo caso l’artista, munito di spray nero, ha inteso proporre le proprie creazioni utilizzando una superficie particolarmente porosa, quella del travertino millenario, impiegato dagli etruschi per cingere la città. La dotarono loro, tra il IV e il III sec.a.C., di un invalicabile recinto di pietra che fermò gli assedianti ma si arrende all’ingiuria delle bombolette.
Un perimetro, quello delle mura, lungo tre chilometri, in larga parte visibile, che asseconda nella sua articolazione la morfologia del colle. Il percorso procede come un fiume carsico che scompare e riappare, nascosto tra orti e negozi. Ed è proprio qui che un tratto di filari compatti ritorna alla vista. Una lavagna ideale.
Sillabe, forse esercizi di stile per completare un qualche pensiero, certo una parola grossa, che hanno impregnato almeno cinque blocchi del tessuto murario antico. Non è chiaro se lo sciagurato di turno abbia desistito per continuare poco oltre, imbrattando per diversi metri un altro muro. Stavolta marchiando la pietra con i versi di un noto brano degli 883 che per ironia racconta proprio il tempo passato. Ma tant’è. Un angolo di centro storico è sfregiato poiché percepito e usato come personale pagina di un social qualunque. L’offesa recata alla storia è più grave e andrebbe sanata con l’opera accorta di un restauratore. Prodotti mirati e procedure hanno tuttavia costi non irrilevanti che sarebbe cosa buona e giusta addebitare, quando possibile, all’autore. Interventi low cost, magari con impiego di sabbiatrice o affidati a qualche mano di copertura sarebbero da evitare, ma non è detta.
Frattanto, gioverebbe indicare con una targhetta, come avviene in analoghi contesti cittadini, la presenza di una testimonianza, eredità culturale di chi ci ha preceduto, laddove necessario. Un’accortezza utile quando la gracilità culturale non soccorre nel distinguere un muro di cemento dal tessuto di blocchi edificati dalla con la fatica ingegnosa degli avi. Insomma ce la può fare anche lui, il graffitaro inconsapevole, a rispettare l’eredità raccontata dalle pietre.
ARTICOLO DI MARCO SAIONI DEL 11 MAGGIO 2016, IL MESSAGGERO
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