Un record per Basquiat: 57 milioni All’asta il Diavolo dipinto a Modena

MODENA

UNA tela di Jean Michel Basquiat, allora, si poteva portare a casa con tre o quattro milioni di lire. «E io non l’ho comperata…», ammette con rimpianto Fausto Ferri, re degli allestimenti della Galleria Civica di Modena. Lui, Basquiat lo conobbe bene e lo accompagnò anche a cena e al cinema, quando nella primavera di 35 anni fa l’artista americano passò un paio di settimane a Modena per la sua prima personale, alla galleria di Emilio Mazzoli. «Era giovanissimo, alto e bello, faceva colpo sulle ragazze. Fumava tantissimo ed era sempre avvolto da una nuvola azzurrina e odorosa: non proprio tabacco… -sorride Ferri -. Vederlo lavorare era impressionante: era velocissimo nel tracciare le figure, e poi spesso le ricopriva con altre, come se l’opera non finisse mai». A Modena, l’anno successivo, Basquiat creò pure il suo ‘diavolo nero’, l’autoritratto esplosivo di colori, firmato sul retro Modena ’82, che martedì da Christie’s a New York è stato venduto alla cifra record di 57 milioni e 285mila dollari: tre anni fa, «Dustheads» era stato battuto a quasi 49 milioni di dollari.

FRA il ponte di Brooklyn e la torre Ghirlandina ci sono quasi settemila chilometri. Eppure fu proprio a Modena che Basquiat (che allora si firmava Samo, ovvero ‘Same old shit’, sempre la stessa m…) ebbe la prima consacrazione. «Lo incontrai a una mostra a Long Island, agli inizi dell’81, – racconta Emilio Mazzoli, che già aveva portato alla ribalta gli artisti della Transavanguardia -. Dipingeva la rabbia dei neri americani, ne rimasi colpito. Comprai una ventina di opere per 10mila dollari e lo invitai a Modena». Basquiat arrivò in maggio. Con le treccine nere e i vestiti sporchi di vernice, era un tipo originale, e Mazzoli aveva intuito il suo talento: «Tutta creatività», aggiunge. Le sue prime tele modenesi nacquero in galleria: «La mia fidanzata lavorava là, e spesso andava a farle visita anche Andrea, suo fratello, che allora aveva sette anni – continua Fausto Ferri -. Basquiat era stato conquistato dal bimbo, e lo lasciava disegnare sulle sue tele. In un dipinto, che è stato esposto anche in grandi mostre, fra i graffiti compaiono alcune automobiline: quelle le ha fatte Andrea».

BASQUIAT girava per cinema, locali e discoteche. Ogni tanto, con una bomboletta, tracciava la sua iconica corona a tre punte, il suo logo. «Era molto ‘avanti’ – rivela Fabio Caselli, designer di Sassuolo -. Andammo insieme a un club e lui passò la sua cuffia al disc jockey. Ascoltava musica rap, e avrebbe voluto che fosse diffusa anche nel locale, ma il dj rifiutò: non la riteneva adatta». L’artista aveva anche ‘adocchiato’ alcuni palazzoni della periferia modenese e avrebbe voluto decorarli, ma il Comune disse no. Pure la prima mostra fu contrastata: «Qualcuno mi criticò perché esponevo le opere di un nero», confida Mazzoli. Eppure i collezionisti acquistarono: tutti i dipinti furono venduti, e oggi valgono una fortuna.

NEL marzo 1982 l’artista tenne la prima personale americana, quindi tornò a Modena per fare il bis da Mazzoli. In pochi mesi, comunque, era cambiato: stava trasformandosi nella star. In un capannone di periferia si mise a lavorare alacremente, ma un giorno sbarcò da New York la gallerista che lo aveva tenuto sotto le ali, per chiedere una percentuale sulle opere: «Non mi sembrava giusto – spiega Mazzoli -. Ebbi una discussione, mi rifiutai, poi feci impacchettare le tele, via tutto». Anche Jean Michel se ne andò, e con lui attraversò l’oceano pure il ‘diavolo nero’. Mazzoli lo rivide tre anni dopo, a New York: Basquiat era all’apice del successo, ma la droga stava bruciando il suo talento. Il ragazzo di Modena non c’era più. (Hanno collaborato Vincenzo Malara e Gianpaolo Annese)

ARTICOLO DI STEFANO MARCHETTI DEL 12 MAGGIO 2016, QN LA NAZIONE

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