A Milano chi imbratta può fare lavori socialmente utili
Il tempo dedicato In totale i graffitari hanno svolto quasi 11 mila ore di attività per la comunità
MILANO
Il writer F., 21 anni, ha lavorato per 500 ore, nell’arco di 6 mesi. Il 20 aprile 2013 partecipò al più violento assalto nella storia del metrò milanese: fermata Villa Fiorita, treno in servizio, vagoni bloccati col freno d’emergenza, passeggeri all’interno, «pezzo» realizzato sulle fiancate in un paio di minuti. Per scontare la sua «pena», il writer F. è diventato imbianchino. Rullo e vernice, ha risistemato un ufficio del Comune. Fu il sindaco Giuliano Pisapia, anno 2012, a dettare la «linea di tendenza». La ribadisce oggi: «Chi imbratta o danneggia i muri sa, o dovrebbe sapere, che commette un reato ed è giusto che risarcisca la comunità». Da allora la Procura di Milano ha chiuso 190 procedimenti: a 63 graffitari, Comune e magistratura hanno accordato il percorso di «riabilitazione».
Milano è la capitale del graffitismo vandalico. E per questo ha una squadra investigativa della Polizia locale (Unità tutela decoro urbano) che lavora col metodo statunitense: catalogazione delle tag , indagini in Rete, analisi del traffico telefonico. Per avere una proporzione di questo lavoro: tra 2014 e 2015, 207 writer indagati, 97 perquisizioni, più di 3 mila bombolette sequestrate, 878 tra cellulari, pc, videocamere e hard disk sequestrati e analizzati. La domanda chiave però è: cosa succede dopo?
Dal 2013 Comune e Procura, con il pm Elio Ramondini, hanno creato un modello unico in Italia che prevede da una parte la centralizzazione di tutte le indagini, dall’altra un’alternativa ai percorsi penali «classici». «Alla base c’è stata la condivisione che non si trattasse di un reato di poco conto – racconta Maria Rosa Sala, legale dell’Avvocatura comunale -. Su questa linea siamo arrivati a contestare per la prima volta anche l’associazione a delinquere contro un gruppo di writer». Col tempo s’è visto però che gli indagati erano spesso giovani al primo reato. Così è stato studiato un percorso che l’avvocato Sala definisce «rivoluzionario nella sua semplicità»: «La definizione alternativa del processo con valenza educativa». Funziona così: dal momento in cui si chiudono le indagini, al ragazzo viene spiegato che, se collabora, sarà messo in contatto con i servizi educativi per un lavoro socialmente utile e solo alla fine, dopo le verifiche, il Comune darà il proprio assenso a un patteggiamento al minimo della pena, con la «non menzione» (significa che il precedente non comparirà al casellario giudiziale).
Non è buonismo: la possibilità viene offerta una sola volta; 2 ragazzi su 3, dicono le statistiche, non hanno voluto o potuto risarcire con il lavoro e hanno affrontato il processo. Spiega il sindaco Pisapia: «Prima di acconsentire al patteggiamento aspettiamo verifiche e relazioni sul lavoro svolto. Su questo siamo severissimi, spesso me ne occupo personalmente». Quando i ragazzi o le loro famiglie ne hanno possibilità, si affiancano i risarcimenti economici: in questi anni al Comune sono stati riconosciuti 44 mila euro con i patteggiamenti, 26 mila dal giudice dopo le condanne, 30 mila come rimborso di spese legali. Cifre che non spostano il bilancio di un Comune, e infatti Giuliano Pisapia le inserisce in una strategia più ampia: «Il concetto chiave resta il risarcimento alla città per i danni commessi, che in alcuni casi funziona anche di più di una sanzione penale con la sospensione della pena. L’aspetto economico è un elemento che aumenta la deterrenza».
I writer hanno lavorato anche in centri per anziani e senza tetto. In totale, hanno svolto quasi 11 mila ore di lavoro. Tutti hanno iniziato con un primo colloquio: «L’obiettivo primario – aggiunge Federica Cantaluppi, funzionaria del Servizio educativo adolescenti in difficoltà del Comune – è far capire ai ragazzi la responsabilità del reato commesso, che non è la semplice violazione di una norma. E poi c’è l’aspetto
educativo, molti giovani comprendono per la prima volta il concetto di impegno verso la comunità».
La realizzazione emblematica resta un ufficio comunale di 7 piani completamente imbiancato dai writer. In base a un comandamento: «Il loro lavoro deve portare a un risparmio di spesa per il Comune sui servizi di manutenzione». Conclude Fabiola Minoletti, studiosa ed esperta di graffitismo a Milano: «Questo modello dà un monito ai ragazzi, sulle conseguenze delle loro azioni, e una risposta ai cittadini: alle indagini seguono giuste punizioni e risarcimenti alla città».
135 Identificati
Sono i writer identificati dalla polizia locale a Milano durante il 2015, venti in più rispetto all’anno precedente
190 Processi
Dal 2012 risultano aperti 190 procedimenti penali che hanno per oggetto l’attività dei writer a Milano
110 Indagati
Nel solo 2015. Ben 52 le perquisizioni. Sono anche state sequestrate 1.727 bombolette spray (200 in più rispetto al 2014)
57 Pc
Sono i personal computer sequestrati lo scorso anno, assieme a centoventi cellulari e quarantadue macchine fotografiche
43 Mila euro
Sono i risarcimenti ottenuti dal Comune di Milano in via stragiudiziale dal 2012, oltre a 10.944 ore di lavori socialmente utili
«Io, beccato in flagranza, ho lavorato per i senzatetto»
MILANO
Daniele Attia, 33 anni, writer da 15, oggi grafico per un marchio di moda («Iuter»), venne fermato nel 2012 mentre faceva una tag (firma) su una cabina del-l’elettricità. Da lì è partito il percorso: «Bec-cato in flagranza, denunciato, finito sotto processo, che si è concluso con una pena tramutata in ore lavoro socialmente utili in due strutture, un centro per anziani e uno di accoglienza per persone senza casa. L’alter-nativa, pur se minima, e pur se forse spro-porzionata rispetto al “reato”, sarebbe stata comunque una condanna». Daniele lavorava e dunque, con i servizi educativi del Comune di Milano, venne studiato un programma che prevedeva le sue ore di lavoro nei fine settimana: «Nel mio caso è stato molto co-struttivo, educativo, perché sono entrato in contatto con delle realtà che non avrei mai conosciuto». La tensione del writer rimaneva anche durante le ore di lavoro: «Venendo dal mondo dei graffiti e della creatività, guarda-vo quei posti e mi veniva in mente come po-tevano esser migliorati. Non è stato possibile farlo, ma in quel periodo è nata un’amicizia con il tutor per il programma e con lui abbia-mo poi organizzato un evento in cui ho re-alizzato un disegno in una scuola; gli anziani del centro hanno partecipato insieme ai ragazzini di terza media».
ARTICOLI DI GIANNI SANTUCCI DEL 15 MAGGIO 2016, CORRIERE DELLA SERA
Simonetta Dall'Oglio
22 agosto 2016 at 20:09
E’ giustissimo sottolineare questi aspetti perché la gente sappia e soprattutto perché si crei un effetto domino. In altri Paesi tali eventi sono la norma, noi ci stiamo molto timidamente avvicinando. Si continui su questa strada, i magistrati siano inflessibili nell’applicazione di quelle poche, blande regole esistenti, i sindaci usino l’arma dell’ordinanza e vengano sanzionati se non vi ricorrono. In questo modo non passerà più l’idea secondo la quale siamo il Paese dove tutto è concesso!
enza P.C.
21 novembre 2016 at 07:34
In questo paese prima bisognerebbe punire anche chi diffonde e lo fa con ripetitività e cattiva fede: racconti fasulli.
La costruzione della bufala mediatica del murales abusivo di Pao, sporco, pieno di tag vandaliche sovrapposte e smunto nel parchetto giochi di via Cesariano è l’ esempio straodinario delle strategie di furbizia comunicativa, intrisa di menzogne ripetute, riprese e riproposte.
Ma un bugia è e resta sempre una bugia, anche se a raccontarla in modo opportunistico sono in molti.
Era un dipinto di Pao, ma il comune non se ne accorse neppure tanto era coperto di sporcizia.
Fu ripulito subito dopo gli eventi disastrosi dai volontari abitanti nella zona, sostenuti dalla collaborazione di Retake Milano.
Fu fatto poco dopo il 1 maggio 2015, su precisa richiesta di aiuto da parte del Comune, che intendeva ripulire e poi far realizzare un nuovo dipinto “pulito e legale”.
Fatto inconfutabile più e più volte dimostrato e confermato anche dal presidente di Municipio 1 Fabio Arrigoni, che lo scrisse sul Corriere della Sera.
Ma la velocità con cui l’assessore Maran corse a porre le sue scuse a Pao ..fu l’amara ciliegina, posata in modo imprudente, sulla torta nell’apoteosi delle beghe fra chi pulisce e chi sporca.
Fu la plateale “ripresa di potere mediatico di chi pretende di imbratta quello che gli pare, piange, mente”.
L’essere uno street artis, checché se ne vagheggi, a vario titolo con deliranti affermazioni, anche di professori e in programmi assurdi proposti in RAI, non esclude l’obbligo di rispetto degli spazi pubblici e della proprietà privata.
La Costituzione Italiana, per ora, non ha ancora modificato questa fondamentale regola della DEMOCRAZIA, indispensabile a tutelare rapporti di parità fra cittadini e i beni preziosi dell’Italia: quindi di tutti, non esclusivamente di chi sentendosi un artista pretenderebbe impunità per i suoi imbrattamenti.
Da tempo Retake sostiene che il pesantissimo tributo al vandalismo imperante su ogni angolo di Milano
potrebbe diminuire solo se fossero gli street artis stessi e ormai affermati ad avere PIETà DEi BENI DEL LORO PAESE, ‘ITALIA, diventando collaborativi nella comunicazione, non mentendo, non cercando di fare a tutti i costi proselitismo di piccoli vandali. La frase più sconcertante detta a RETAKE dai famosi è “Io ho imbrattato tanto nella mia crescita, ora tocca agli altri è inevitabile”.
30 anni di imbrattamenti a danno della società e la continua convinzione che questo sia un diritto esigibile da tutti ovviamente, a chi ha un po’ di cervello e tanto amore per il suo paese, mette paura.
Per questo Retake Milano non smette di portare in evidenza l’altra voce VERA in primo piano.
QUELLA dei cittadini normali, rispettosi delle regole di buona convivenza e però vessati dai più arroganti.
Purtroppo quando si è costretti a mentire per vantaggi personali, facendo svanire la propria onestà intellettuale nella piccineria, direi che, in generale, “la fama raggiunta assume molto meno valore”.
Walter Donati
21 novembre 2016 at 12:35
A conferma della storia di Enza qui sotto, allego un filmato che sta girando in rete..
https://youtu.be/FTMzE5D4JUo