BRESCIA
Ne è passato di tempo da quando i soldati americani della seconda guerra mondiale scrivevano sui muri: «Kilroy was here», accompagnando le lettere con il disegno di un pupazzo calvo dal lungo naso, che sbircia oltre un muro. Tra quelle scritte e il metrò di Brescia imbrattato dai tre writers sloveni in tournée in Italia si stende la vicenda del graffitismo, dalla sua origine nella sottocultura dei ghetti americani e nel movimento Hip-Hop nel corso degli anni Settanta, alla Street art e alla Aerosol art, fino al riassorbimento del fenomeno nella grafica, nella pubblicità, nel design e nella moda. In mezzo un’immensa discarica di bombolette, chilometri di muri imbrattati, qualche tentativo di interpretazione e alla fine, inevitabile, la domanda che tutti ci siamo posti: arte o vandalismo? Il graffitismo è senza ombra di dubbio un fenomeno planetario e, nonostante servizi di sorveglianza, unità cinofile, recinti e sanzioni sempre più pesanti, non c’è paese che sia riuscito ad arginarlo. Le crew continuano a colpire, animate da ragioni che si diramano dal grande contenitore dell’antagonismo metropolitano: protestare contro il potere colpendo edifici e mezzi di trasporto, accendere di colore il grigiore cittadino, scuotere le coscienze sottraendole alla frenesia del quotidiano, proporre un’iconografia vivacemente alternativa a quella della cartellonistica pubblicitaria, rompere i tradizionali ghetti dell’arte.
Le discussioni sui graffiti hanno spesso inciampato in una serie di pseudo-problemi. Sono condivisibili le istanze trasgressive dei writers? È giusto riconoscere il diritto di esprimere la creatività individuale? La loro è arte o inciviltà? In realtà la questione non è né estetica, né ideologica, ma molto più semplicemente riguarda la tutela dei beni pubblici e privati. La libertà di ciascuno non deve ledere la libertà altrui: «Neminem laedere», non danneggiare nessuno, raccomanda la giurisprudenza. Se io non chiedo a un graffitaro di tracciare il suo ghirigoro sul mio muro, la sua protervia creativa scatenata senza il mio consenso ricade nella materia regolata dall’articolo 639 del codice penale: Deturpamento e imbrattamento di cose altrui. Ancora più grave se l’artista della bomboletta si esercita su un treno del metrò, perché colpisce il bene della comunità. Il culmine si tocca quando vengono imbrattati un monumento o un’opera d’arte. Purtroppo nella maggioranza dei casi la compulsività dell’imbrattamento che dilaga nelle nostre città parla un linguaggio, per il quale servono, più del critico d’arte, il sociologo e lo psicologo .
ARTICOLO DEL 10 GIUGNO DI Franco Brevini, CORRIERE DELLA SERA
Annetta Milone
26 giugno 2016 at 04:16
Si il sociologo e lo psicologo servono! Anche per spiegare, prima che esplodano di rabbia, l’arte della pazienza alla maggior parte delle persone normali a cui (secono il tipo di amministrazione comunale) si impone l’assenza totale del diritto ad avere bellezza intorno a sé e si elimina, fingendo di non vedere, il diritto di rispetto delle cose altrui.