TORINO
Il caso della cancellazione dei graffiti ai Murazzi, avviata nei giorni scorsi dal Comune, ha originato un intervento dello scrittore Massimo Tallone che, ieri su Repubblica, ha sollevato il problema di come classificare le pitture sui muri della città. Solo episodi di degrado urbano o germogli spontanei di street art? Ed esistono spazi cittadini connotati a tal punto dai graffiti da non essere più immaginabili senza di essi? E, ancora, che cosa trasforma uno scarabocchio in un’opera d’arte? Interrogativi che abbiamo girato a torinesi illustri che con l’arte, anche quella di strada, vivono e lavorano.
GALO, GALLERISTA
“Regole sì, ma i writer non rinunceranno mai alla loro spontaneità“
«TORINO ha sempre avuto attenzione per la street art, ricordo qualche anno fa l’iniziativa Murarte, poi è arrivata PicTurin, sempre con l’idea di lasciare spazi per questo genere di attività.Si sono anche riservate a un certo punto delle pareti agli interventi dei writer in via Braccini: sono stati chiamati fino a 40 artisti. Peccato che poi siano arrivati dei ragazzini che li hanno “crossati”, in gergo vi hanno sovrapposto i loro interventi. Questo che cosa vuole dire? Che si può regolamentare tutto, ma i graffiti spontanei ci saranno sempre». Galo, street artist titolare della Galo Art Gallery – dove si è appena inaugurata la mostra di Shepard Fairey, in arte Obey, il “writer di Obama” – interviene volentieri nel dibattito, ammettendo che il concetto di arte di strada è cambiato. «Ci sono ormai street artist affermati che non lavorano più nelle vie e piazze, fanno progetti urbani in studio e poi finiscono nelle gallerie, il loro diventa un vero e proprio lavoro, non più un’espressione spontanea. Qui a Torino il Comune ha affidato addirittura 11 facciate di palazzi dalle parti di via Bologna a Millo: si può pensare che forse undici interventi dello stesso artista siano un po’ troppi, ma va bene così. Il punto è che per dipingere in strada in modo legale bisogna essere conosciuti e invitati a fare progetti, gli altri si arrangiano come possono.
Penso comunque che i graffiti facciano parte dell’arredo urbano: adesso magari si fa un po’ più di attenzione perché siamo in campagna elettorale, credo però che continueranno a esistere».
BEATRICE, CRITICO
“Un conto è Bansky lo sfogo fine a se stesso deve essere vietato“
«SECONDO me c’è un equivoco di fondo: sotto la street art oggi si trova un po’ di tutto, ma è un tipo di arte che si è evoluta, con artisti che fanno un importante lavoro sociale, penso a personaggi a come Bansky, o a Blu, che ha realizzato grandi disegni all’esterno della Tate Modern, rinnovando il genere con interventi anche effimeri. Se si tratta invece solo di dare libero sfogo alla creatività, beh allora credo sia giusto porre dei divieti e farli rispettare». Luca Beatrice, docente all’Accademia Albertina e critico, ha le idee chiare in materia di graffiti urbani. «All’estero la street art è considerata in modo diverso, ha maggiori implicazioni di tipo sociale, non basta disegnare qualche scarabocchio sui muri. Per questo c’era il Bronx negli anni 80, ma davvero oggi il mondo è cambiato. Se poi si fanno i graffiti sulle facciate dei palazzi storici, è ancora peggio: non solo è un linguaggio vecchio, ma va vietato».
Beatrice cita poi alcuni casi piemontesi, come l’alessandrino 108, che esegue lavori di maggiore qualità. E ricorda BR1, lo street artist che da qualche anno racconta sui muri il mondo delle donne musulmane. E proprio una di queste figure femminili velate stava in un muro del cortile dell’Accademia Albertina, dove Beatrice insegna. «Certo, ci sono alcuni casi di artisti validi, ma in generale i tagger sui muri non interessano più. Dovrebbero esserci più norme, non si deve lasciare libera la creatività perché altrimenti la gente non sa come sfogarsi. Se ci sono dei divieti vanno rispettati».
Luca Beatrice
ALFIERI, PRESIDENTE DELL’ALBERTINA
“Istituzioni e privati diano agli street artist spazi per la creatività“
«SE SUI MURI esterni dell’Accademia Albertina apparisse una qualsiasi scritta o venisse incollato un qualsiasi manifesto entro 24 ore sparirebbe». Parte da questa premessa Fiorenzo Alfieri, presidente dell’Albertina ed ex assessore alla Cultura. Che aggiunge: «Se tutti i proprietari di casa della città facessero lo stesso il problema delle scritte sulle facciate sarebbe risolto».
Poi Alfieri entra nel merito: «La “street art” è una cosa ben diversa dall’accozzaglia di scarabocchi che rendono il paesaggio urbano squallido e sgradevole. È bellissimo camminare in una città dove artisti di strada hanno messo a disposizione di tutti, sui tanti spazi che possono essere utilizzati, i prodotti della loro poetica». Ne sono esempi il Museo di Arte Urbana di Borgo Campidoglio, l’esperienza di Basic Net e della stessa Accademia Albertina: «L’impresa che ha riqualificato l’edificio di via Giolitti angolo via Lagrange -ricorda il presidente – ha chiesto a 15 studenti di realizzare 12 pannelli che sono stati prodotti per strada davanti ai passanti e sono poi rimasti esposti per quasi due anni sulla recinzione del cantiere, senza che nemmeno un writer violasse quelle opere». La proposta di Alfieri è questa: «Amministrazioni pubbliche e privati moltiplichino esperienze come questa; ci sarà tanta arte pubblica nelle nostre strade e i writer non avranno sensi di colpa per avere “sporcato” la città. Sono convinto che un artista non possa godere dell’essere detestato dai concittadini e dell’essere sistematicamente cancellato».
Fiorenzo Alfieri
NESPOLO, ARTISTA
“Attenti, non tutto è arte ma ci sono luoghi dall’anima graffitara”
«NON TUTTO è arte. Bisogna smetterla di porre tutto sullo stesso piano. Ci sono sgorbi orrendi che è giusto cancellare, mentre ci sono graffiti che sono opere splendide ed eliminarli è un errore imperdonabile». Ugo Nespolo, l’artista che ha portato l’arte nella metropolitana di Torino, non boccia l’iniziativa del Comune di ripulire i Murazzi, ma mette dei paletti alla voglia di muri intonsi: «Ho vissuto a lungo a New York, sono stato amico di Keith Haring e conosco il valore delle opere murali, sono la naturale prosecuzione contemporanea degli affreschi». Anche sulle rive del Po ci sono luoghi che hanno ormai nella loro anima una dimensione graffittara: «La borgata Paradiso ad esempio, o fuori Torino penso a Maglione. Anche i Murazzi sono uno di questi. Quello è stato lo spazio dove si è sviluppata la cultura underground, non solo musicale ma anche visiva. Ora però ci sono scritte di diverso tenore e non tutte hanno un valore».
Sul fatto che a decidere cosa sia arte da conservare e cosa no siano le istituzioni, il pittore è piuttosto scettico: «Spesso quando si offrono agli artisti i muri per interventi su commissione alla fine il risultato è mediocre, mentre uno degli elementi di forza dei graffiti è la libertà di espressione conquistata con un gesto rivoluzionario – ragiona Nespolo – Chiaramente nel 2016 fare una scritta sul muro è un’azione di retroguardia e non di avanguardia come poteva essere negli anni Settanta, ma gli slogan se sono una manifestazione di rabbia o di dissenso vanno salvaguardati”.
Ugo Nespolo
ARTICOLO DI MARINA PAGLIERI E JACOPO RICCA DEL 28 FEBBRAIO 2016, LA REPUBBLICA
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