La teoria della finestra rotta

L’AMBIENTE CONDIZIONA E INVITA

Una suggestiva teoria che spiega l’ inversione di rotta a New York giunge da due criminologi, James Q. Wilson e George Kelling.
Nei loro libri, nelle conferenze, nei corsi universitari propagandano l’equazione “il disordine attira il crimine”.
Hanno inventato la “teoria della finestra rotta”.

Ovunque, dalla metropoli al paesino di montagna, una finestra rotta sembra un episodio insignificante invece è l’inizio di una spirale che porta ad atti criminosi, è un biglietto di invito diffuso fra balordi a comportarsi male.

Secondo questa teoria l’impulso a imboccare una certa strada non arriva dal carattere di una persona ma dalle componenti dell’ambiente in cui vive, dall’atmosfera in cui siamo immersi, dagli esempi che riceviamo, da ciò che abbiamo sotto gli occhi.

Il malvivente non è un individuo che ascolta solo le lusinghe del suo cuore nero, ma una persona influenzabile da luoghi e circostanze che lo circondano, una antenna che registra segnali che gli suggeriscono di arruolarsi nelle schiere dei malviventi.

Sembra un punto di partenza troppo semplice per essere vero: nei fatti si dimostrerà un’intuizione geniale.

Scendiamo nei dettagli.
Se nel nostro quartiere, una zona abitata da persone oneste, un posto tranquillo, ordinato, un cretino rompe con un sasso una finestra e nessuno la ripara viene issata la bandiera nera della filibusta; tutti i pirati della zona scorgono il segnale, accorrono e spadroneggiano.

Vedendo il buco nella tapparella, i vetri infranti, ma soprattutto intuendo che nessuno se ne preoccupa si convincono di aver trovato un territorio dove l’ordine è un optional.
Un altro malvivente scaglierà un sasso verso un’altra finestra, fracassandola, tanto nessuno si fa vivo, non ci sono lamentele.

Il senso di impunità si accresce, diventa anarchia: qui si può fare di tutto dato che ognuno fa gli affari suoi, non ci saranno denunce o reprimende perché qui la gente è o pavida o indifferente, o tutte e due le cose insieme.

Estendendo il concetto, se si tollera che un accattone diventi aggressivo quando non gli diamo quattrini al semaforo, se ci disinteressiamo di chi sporca le facciate della case , se nessuno chiama le forze dell’ordine quando vede che un malintenzionato rovina i cartelli stradali, butta razzetti nella casella della posta, se sorridiamo osservando chi sale sul pullman senza pagare il biglietto, assumiamo lo stesso comportamento di chi vede una finestra rotta e non si interessa affinché venga prontamente riparata.

La situazione è descritta nel saggio “Fixing broken windows” di Kelling e Coles “Rapinatori e ladri, sia occasionali sia di professione, sanno che le possibilità di essere catturati, o persino identificati, si riducono moltissimo se attuano i loro propositi criminali nelle strade percorse dalle vittime potenziali già intimidite dalle condizioni dominanti. Se il vicinato non è in grado di impedire ad un accattone fastidioso di importunare la gente, il ladro può desumere che sia ancora meno probabile che si chiami la polizia per identificare un potenziale rapinatore o per accorrere se la rapina è in atto”.

Sono frasi da sottolineare e spedire alle anime belle che giustificano comportamenti sociali ritenuti non pericolosi perché riguardano piccole trasgressioni, lanciano alte grida di attentato alla libertà quando le forze dell’ordine fermano e controllano chi gira in atteggiamento sospetto per poi strapparsi le vesti in grisaglia, per nascondere la coda di paglia, quando trovano l’auto zigzagata con un chiodo e da questo momento in poi invocano la pena di morte.

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