Milano, 26 novembre 2008
Oggi su City sono usciti due articoli firmati An. Pau.: La guerra notturna dei writer milanesi e Mentre gli altri dormono.
Sarebbe opportuno che An. Pau. si informasse meglio sul fenomeno del graffitismo e sulle leggi presenti nel codice penale (articoli 639 e 635) ancor prima delle ordinanze comunali di recente data.
Inoltre ci sentiamo di dare un consiglio al giornalista in questione: di prestare maggior attenzione a cronache di questo tipo, in quanto si ritroverebbe passibile di incorrere nell’apologia di reato.
L’adrenalina che trasmette nei pezzi è la sintomatica risposta a un comportamento che delinque e quindi da considerarsi riprovevole e da perseguire.
La “moda” del writing sta iniziando a convertirsi alle regole di un mercato d’arte sempre più avido di novità e di trasgressione. La differenza è che mentre chi espone in un museo o in una galleria non procura danni alla collettività, un vandalo “che va contro tutti per una passione che non porta né soldi né meriti”, procura danni per milioni di euro nelle città di tutta Italia.
Il fenomeno coinvolge sì tutta Italia, ma Milano non è certo la sola a battersi contro il degrado che ne deriva: in tutta Italia il problema è all’attenzione delle amministrazioni, da Bolzano a Catania.
Il Comune di Milano non si è “svegliato” con l’ordinanza del 5 novembre: la lotta contro i graffiti parte da più lontano. “Si tratta solo di una questione di illegalità, non di repressione della creatività, che deve sempre e comunque essere indirizzata e “sfogata” su superfici autorizzate”, dichiara Andrea Amato, segretario dell’Associazione Nazionale Antigraffiti. E aggiunge: “La distinzione da farsi non è tra imbrattatori e writers, perché entrambi, nel momento in cui compiono azioni su palazzi, monumenti o treni che siano, sono da considerarsi a tutti gli effetti vandali. La distinzione sta piuttosto tra legalità e illegalità”.
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