Il 2013 è un anno d’oro per gl’imbrattatori di Bologna. Sotto la calura estiva, gli scarabocchianti hanno impiastricciato sul già impataccato e su quel poco che restava intonso dei portici e palazzi bolognesi. Al rientro delle ferie con lo sfregio compiuto di giorno (un bel salto di qualità) al Teatro Comunale, si è cominciato a scarabocchiare alla luce di sole, non più carbonari. A vedere azioni di guerriglia così bene organizzata, si potrebbe pensare che i graffitari siano portatori di un vizio privato, il degrado, che volge in «beneficio pubblico». Andando con la memoria alla Favola delle api di Bernard de Mandeville (1670-1773), gl’imbrattatori al pari di altri personaggi di non buoni costumi sarebbero le api dell’alveare bolognese.
Moralizzarli vorrebbe dire far perdere benefici alla città. Chi restasse esterrefatto da questa interpretazione, sospenda per un momento il giudizio. Che vuol dire imbrattare un muro, una colonna, un portone, un monumento, un cartello di pubblica utilità? Semplicemente un gesto antiestetico che si rimedia pulendo quanto sporcato per essere poi risporcato e ripulito, in un ciclo infernale non-stop? Se così, ogni sgorbio, traducendosi in ore di lavoro per cancellarlo, fa girare i soldi, gonfia il Pil cittadino. Il vizio privato è un beneficio pubblico. Ma non è così. Purtroppo, avendo inforcato gli occhiali del politicamente corretto, si vede solo ciò che appare: gli scarabocchi. Il fatto è che imbruttire la città scarabocchiandola è solo il risultato appariscente di una causa invisibile perché tanto profonda. Non riconoscendone il valore per ignoranza o deliberata scelta ideologica, i graffitari intendono anzitutto sfigurare il volto dei diritti di proprietà. E questa è la malattia che deprime il valore della città molto più di quanto con le ripuliture possano gli scarabocchi far crescere il Pil. Purtroppo, a Bologna la parola «proprietà» non è nelle corde di coloro che a vario titolo detengono le leve del comando. Proprietà sarebbe sinonimo di ricchezza e, questa, di diseguaglianze economiche e sociali. Un trittico più brutto degli sgorbi sui muri. Di riflesso, anche per le cose pubbliche si evita di pronunciarla: «bene pubblico» sembra più appropriato e suona meglio di «proprietà pubblica». Se non accettassimo che, consapevolmente o meno, gli scarabocchianti possano con disinvoltura mettere a repentaglio i diritti di proprietà, allora conseguirebbero azioni che vanno ben oltre l’esercizio fisico di manutenzione straordinaria delle proprietà bolognesi, pubbliche o private che siano. Vedremmo il Comune impegnato in una vasta campagna di educazione all’estetica, sin dalle scuole primarie. Per i graffitari colti in flagrante, diverrebbe obbligatoria la partecipazione a classi di recupero attivate sui valori estetici. Sarebbero capillarmente diffuse nel territorio telecamere di rilevazione a contrasto delle azioni di degrado urbano. Questa brutta storia potrebbe, allora, avere un lieto fine.
Articolo di PIERO FORMICA apparso sul Corriere Bologna l’8 settembre 2013
alessandra
13 ottobre 2013 at 19:24
sono la mamma di un graffittaro, sto combattendo contro questa abitudine compulsiva con tutta me stessa, voglio partecipare per pulire bologna!
si dovrebbe vietare di vendere bombolette o comunque obbligare i negozianti a segnalare alle autorità chi compra, nome e cognome e recapiti per rintracciarli. io non so come fermarlo, butto via tutto quello che lui porta in casa, i servizi sociali ne sono al corrente
Andrea
15 ottobre 2013 at 12:57
E’ veramente un problema. Ma suo figlio ha capito che imbrattare è un reato? Che rischia, con l’attuale legge, se è magiorenne, l’arresto. Ovviamente non voglio crearle terrorismo e tanto meno non sono d’accordo con la pena dententiva prevista dal codice penale, ma di fatto la situazione è questa. Cosa dicono i servizi sociali?