Milano è certamente la città italiana più imbrattata da scritte, tag, segnacci, che ricoprono facciate di case e palazzi, treni della metropolitana e arredi urbani. Ma ora è anche, ufficialmente, la città più virtuosa nella lotta a questa forma di degrado. Pochi giorni fa, infatti, il ministero dei Beni culturali ha concesso il suo patrocinio all’associazione Nazionale Antigraffiti, nata a Milano, per la giornata di pulitura di alcune facciate sul Naviglio Grande e sul Naviglio Pavese, di domenica 13 ottobre. E proprio ieri il tribunale di Milano ha condannato a sei mesi, per associazione a delinquere, due writer, che dovranno lavorare 400 ore in un centro anziani, a titolo di risarcimento. Si riconosce che gli atti di vandalismo sono un reato da punire. Siamo convinti che questa nuova percezione del fenomeno sia dovuta anche all’attività instancabile dei volontari dell’Associazione Antigraffiti.
IMPEGNO INSTANCABILE - Negli ultimi anni, dieci giornate di cleaning, e pulizia di cinquanta facciate di edifici e palazzi, di interi spazi metropolitani e di oggetti di arredo urbano: un bilancio lusinghiero. E senza richieste di denaro pubblico. L’associazione ha il merito di aver fatto crollare il muro di indifferenza che rendeva la città cieca e impotente davanti all’opera di vandali metropolitani. Dopo anni di silenzio, Milano si è svegliata. Da qualche mese non si contano gli articoli che segnalano una situazione di cui un anno fa nessuno parlava o scriveva. E non si contano le lettere ai giornali di cittadini non più disposti a tollerare questo degrado né la protervia immorale di bande organizzate che costringono l’amministrazione comunale a spendere ogni anno ingenti risorse – che potrebbero essere destinate a fini sociali o, comunque, al bene collettivo – per cancellare le loro dichiarazioni di stupidità.
ATTENZIONE DELLA GIUNTA - Così l’Associazione Antigraffiti è riuscita a sensibilizzare anche la giunta comunale, a partire dal sindaco Pisapia e dall’assessore Bisconti, che – con una scelta lodevole – hanno deciso di opporsi al fenomeno. Che non può essere debellato concedendo ai graffitari muri sui quali sfogarsi: scelta troppo semplicistica, dal momento che la trasgressione è strettamente legata a questa attività.
Non si capisce perché un problema che è stato cancellato in grandi città come New York, Parigi e Londra – che, in fatto di educazione civica e tolleranza, non hanno certamente nulla da imparare – non riesca ad essere risolto a Milano. Dove si continua a confondere la street art con le violente prodezze di vandali. Che vanno combattute con pene pecuniarie e, soprattutto, con una educazione al rispetto della città a partire dalla scuole elementari, se vogliamo che cambi, finalmente, questo clima culturale stantio, fuori moda, vecchio ormai di quarant’anni e che, nelle città europee più avanzate, è scomparso da tempo. Il patrocinio del ministero dei Beni culturali ha anche il valore di un incitamento: davanti a una città imbrattata, non usiamo parole, ma rimbocchiamoci le maniche. E ce la faremo.
Articolo apparso sul Corriere della Sera il 29 settembre 2013 a firma dell’architetto Gianni Ravelli
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