BELLEZZE VERE E VANDALISMI
Anche Milano ha la sua «Grande bellezza»: una bellezza rintanata, nascosta, in qualche caso segreta. Nulla di scenografico o di spettacolare. Piccole cose, piuttosto. Come la ragazza sull’altalena disegnata sotto al ponte che scavalca il Naviglio Grande all’altezza di via Corsico. «Poesia urbana», l’ha definita ieri su queste colonne Giacomo Valtolina. Una turista austriaca ha postato la foto su Twitter e ha scritto «Why I love Milan», perché amo Milano. La ragazza sull’altalena è un regalo alla città. Come quelli disseminati da Banksy, il più grande (e misterioso) artista di strada vivente, che ha lasciato le sue opere raffinate e sorprendenti sui muri di mezzo mondo. Nessuno conosce il suo vero nome, è inglese, di Bristol, ha lavorato a lungo a Londra, in Cisgiordania ha disegnato un fantasioso trompe l’oeil che «rompe» la barriera con Israele e permette di «vedere» al di là. L’anno scorso ha passato un mese a New York e ha lasciato sui muri 31 opere d’arte, molte delle quali subito vandalizzate dai writer locali. Perché c’è chi alla città fa regali e chi invece fa dispetti. Ovviamente sono più numerosi i secondi. Fra gli ultimi dispetti fatti a Milano ci sono i graffiti su un convoglio della MM5 nuovo di zecca (costo: circa 8 milioni). Prima ancora che entrasse in esercizio, le sue fiancate sono state imbrattate con le gigantesche «firme» colorate di Orso, Kits e Piter. La polizia locale è riuscita a identificare gli autori. Orso è un ventenne italiano di origine romena; Kits è un perugino di 25 anni; Piter è un ventunenne spagnolo arrivato a Milano con il programma Erasmus. Se questo è il risultato di un progetto internazionale di istruzione e di scambio, forse le autorità accademiche dovrebbero prendere qualche provvedimento: magari rispedire Piter a casa sua. Non prima però – e questo vale per lui e per gli altri due imbecilli – di avergli fatto pagare i danni. Sono nullatenenti? Si cominci con il requisirgli computer e telecamere, che quelli non gli mancano mai; e poi i risparmi, il motorino se ce l’hanno, il giubbotto firmato, l’impianto stereo. E se ancora non basta al risarcimento, possono sempre guadagnare qualche euro scaricando cassette all’alba all’Ortomercato: per chi passa ore nelle gallerie del metrò a intossicarsi con la vernice spray, un po’ di attività all’aria aperta non può fare che bene.
Regali e dispetti, dicevamo. E già sentiamo il sospiro di qualche anima candida che ci interroga su chi possa ergersi ad arbitro della bellezza, su chi possa dire che cosa sia un’opera d’arte e che cosa una schifezza. Del resto l’allora sindaco di New York, Bloomberg, aveva liquidato i capolavori di Banksy come «un segno di decadenza». Non c’è bisogno di scomodare l’illuminismo di David Hume che già a metà del Settecento teorizzava che «la bellezza non è una qualità delle cose stesse: essa esiste soltanto nella mente che le contempla e ogni mente percepisce una diversa bellezza». È tutto vero, ma nessuno ha mai detto o scritto che ama questa città per gli sgorbi sui muri, per i mezzi pubblici imbrattati o per le scritte con la vernice spray sui monumenti. La ragazza sull’altalena, invece, è un motivo per amare Milano: una piccola «Grande bellezza».
Editoriale di CLAUDIO SCHIRINZI apparso il 5 febbraio 2014 sul Corriere della Sera
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