L’ARTE SECONDO UN GIUDICE

La sentenza di Pordenone che assolve un graffitaro che a suo tempo aveva riempito i muri di Venezia con le sue elaborazioni da bomboletta va tradotta come una buona notizia per i veneziani. Se il giudice ha riconosciuto per legge come “arte” quella di spruzzare vernice sui muri altrui seguendo il proprio estro, allora gli abitanti della città storica non dovranno più preoccuparsi di dipingere gli scuri di verde o di marrone: li avete sempre sognati fucsia con grandi fiori? Ebbene, è il momento giusto per realizzarli; che volete che valga il parere della Salvaguardia a fronte di una sentenza che stabilisce finalmente per legge i confini dell’arte. Ma potete fare di più, molto di più: potete dipingere anche quelli dei vicini, che in fondo sono quelli che avete sempre sotto gli occhi, no? Scriveteci il vostro nome, già che ci siete. Tanto la sentenza di Pordenone stabilisce che non è reato imbrattare le proprietà degli altri. Se poi volete cimentarvi anche con i muri, o meglio ancora con la pietra d’Istria e i marmi che i veneziani portarono da mezzo mondo per rendere unica e bella la loro città, perché no? La Soprintendenza se ne farà una ragione. Ah, pure l’Unesco, che ha dichiarato Venezia patrimonio dell’Umanità. Loro sono un organismo sovranazionale, mica li capiscono i nostri artisti della notte. È arte, ragazzi, mica noccioline. D’altronde, finiti i treni da qualche parte bisogna pur scaricare il bisogno di espressione. E per queste cose non c’è nulla di meglio che un edificio pubblico: siccome è di tutti, allora è di nessuno, e dunque nessuno vi creerà problemi. Tantomeno i giudici innamorati dell’arte. In fondo ha un suo fascino vivere circondati da tag comprensibili solo alle sette dei graffitari, e avvolti da colori acrilici che coprono tutti quei biancori rinascimentali. Quando Marcel Duchamp (con grande genialità, invero) propose la sua Gioconda coi baffi, era molto avanti. Peccato che l’opera non si trovi più in Italia, perché oggi si potrebbe farlo su quella originale. Che differenza vi può essere infatti tra un’opera d’arte architettonica e una pittorica? O una statua, per dire? Tempo fa Sior Rioba di campo dei Mori recava impresso un poderoso uccello, sul davanti, e qualche benpensante ha provveduto a farlo rimuovere.
L’anonimo artista potrebbe fare causa e ottenere il ripristino dell’opera. Chi siamo infatti noi per decidere cosa sia bello o brutto, giusto o sbagliato. Noi poveracci non ragioniamo mica col codice in mano, nella nostra ignoranza ci muoviamo con robe vecchie nella testa, tipo il buonsenso. Per dirci cosa sia “arte” serve un giudice di Pordenone.

Editoriale di Alberto Toso Fei pubblicato su Il Gazzettino il 15 ottobre 2014

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