Nell’ultimo anno sono aumentate le reazioni violente contro le squadre di sicurezza Agguato nella notte dopo l’incursione sventata. Una guardia ferita alla testa
L’intervento sembrava chiuso. Silenzio, luci basse dei lampioni, nebbia. Era iniziato con un pattugliamento nel deposito Atm di Gorgonzola, dove sono posteggiati i treni della linea «verde» del metrò. La squadra della vigilanza dell’azienda ha trovato un paio di writer all’interno. I graffitari non avevano ancora iniziato a imbrattare i vagoni, sono scappati. A quel punto i vigilantes sono usciti per un giro di controllo. Erano ormai passate le 3 della notte tra il 23 e il 24 dicembre. Vicino al deposito c’è un ponte. L’agguato è partito da lì. Hanno lanciato bottiglie, bombolette, forse sassi, altri oggetti raccolti dalla strada o tra i binari di servizio dei treni. I guardiani sono stati presi alla sprovvista, a quel punto non s’aspettavano più un’aggressione; quella sorta di sassaiola violentissima è partita dall’alto, da un punto buio e coperto dalla nebbia. I vigilantes hanno provato a ripararsi, ma uno è stato colpito alla testa. Una profonda ferita, il sangue tra i capelli. Partono le chiamate d’emergenza al 118 e ai carabinieri.
Non è il primo episodio di reazione da parte dei writer : l’agguato di Gorgonzola racconta invece della deriva sempre più violenta che sta dilagando nelle notti tra depositi e binari della metropolitana.
Le indagini sull’ultima aggressione sono affidate ai carabinieri della compagnia di Cassano D’Adda, guidati dal capitano Camillo Di Bernardo. In un primo momento sembrava che la ferita all’addetto dell’Atm fosse stata provocata da una bomboletta di vernice; ma il taglio è ampio e piuttosto profondo, più probabile che si sia trattato di una bottiglia o di un oggetto ancor più pesante. I carabinieri per ora hanno in mano pochi elementi: ragazzi sui trent’anni, probabilmente italiani.
Per descrivere il momento attuale, in cui il writing sta scivolando sempre più spesso verso la guerriglia, bisogna tener presente il lavoro e le inchieste della Procura: negli ultimi anni la magistratura ha iniziato ad affrontare in modo più sistematico i reati di imbrattamento, arrivando a contestare ai graffitari anche l’associazione a delinquere. Dunque, reati più gravi (che implicano processi e pene sempre più pesanti) e un metodo di indagine più capillare e approfondito. Questa svolta ha avuto conseguenze. Un paio si possono definire «preventive»: in molte zone di Milano i nuovi imbrattamenti dei muri sono diminuiti; allo stesso tempo, le crew tendono a tenersi lontane dal metrò. Allo stesso tempo, i pochi gruppi che continuano ad attaccare i treni nei depositi Atm sono quelli più agguerriti. E in caso di allarme, sono pronti allo scontro per non farsi bloccare.
È accaduto, ad esempio, alla fine dello scorso settembre in un «tronchino» (un binario di «parcheggio») della linea 1 all’altezza di parco Gramsci, a Sesto San Giovanni. Scoperti mentre imbrattavano un treno, tre writer si sono scagliati prima contro la pattuglia di vigilanza dell’Atm, poi contro i carabinieri. Morsi, graffi, calci, pugni, sprangate. Bilancio: quattro feriti. Oltre alle bombolette spray, negli zaini i graffitari avevano anche i bastoni che hanno usato per attaccare. Uno ha provato anche a sottrarre la pistola a un vigilantes; un altro è stato alla fine ammanettato (italiano, 26 anni, residente in provincia di Como).
L’aggressione di mercoledì notte, su questa linea, segna un passo ancora più preoccupante: perché i writer non erano «in trappola», non avevano alcun bisogno di reagire per provare a scappare, ma si sono allontanati e poi nascosti sul ponte. Significa che, ormai, chi interviene per un allarme nei depositi del metrò non deve aspettarsi «soltanto» una reazione violenta, ma può ritrovarsi anche dentro un’imboscata.
Articolo di Leila Codecasa e Gianni Santucci pubblicato sul Corriere della Sera del 27 dicembre 2014
Tommaso Incerti
28 dicembre 2014 at 05:38
DUNQUE: i mostri si stanno evolvendo. E pensare che un sacco di gente, in malafede, insiste a raccontarci che la “storiella dell’espressione artistica” oppure quella del “disagio sociale” (poi si scopre che molti sono figli di papà che a casa vivono nel gran lusso – e che, spesso, son protetti molto più dell’opportuno).
Chi si da un mossa?
Visto iniziano con le tag e poi si trasformano in gentaglia, mostri che per pura fortuna “non sono ancora” assassini. Sono vandali, delinquenti che aggrediscono a mente fredda altri esseri umani.
Ci si dà una mossa allora?
Che non sia quella banale anacronistica ridicolaggine di concedere “muri sfogatoi” ad artisti sui generis, e nel frattempo, si sappia, nella totale demenza di educatori e genitori rimbambiti e amministratori della giustizia sonnambuli si propongono qua e là corsi di “strett art a bambini di 6/7 anni . con cuffie alle orecchie e musica ispirarice”.
In mano fornite da adulti (che ledono palesemente il divieto di legge di dare bombolette a minori) le malsane bombolette spray di colore…
E … ma che problema c’è?
E’ una cosa suggerita da chi si “diverte a proporre – a spregio del futuro per il rischio che i minori agiscano fuori dalla legalità -è una cosa di tendenza”. Si fa anche nelle scuole di Milano fuori da ogni logica del rispetto della norma di tutela dei minori . E questo viene loro insegnato perfino in certi musei milanesi.. perché così si svecchia un po’ tutto e poi fa figo, no?” NO!
Tutto avviene in modo scellerato e senza il “minimo scrupolo per l’istigazione palese a esprimersi con lo spray, anziché con pennello e tavolozza”.
Nessuna preoccupazione per l’inquinamento prodotto , la mala-educazione, e illegalità, non è un pensiero che sfiora questa gente modaiola e consumista.
Tanto i loro figli adolescenti al momento buono sporcheranno altrove, forse andranno a imbrattare le case dei poveri – che tanto son già brutte -